“La virtù principale del capolavoro, se vogliamo continuare a chiamarlo così, è quella di creare un nuovo modo di guardare le cose”
(Edoardo Sanguineti)
Studiata, meditata, concettuale: un silenzio pensoso e nuovo anima la fotografia di Fabrizio Ceccardi. Ampie estensioni, orizzonti, percorsi in cui lo spazio e il possibile s’incontrano senza dirsi addio, ma prendendosi per mano.
Giovedì 27 Novembre è stata inaugurata negli ambienti della galleria Rbcontemporary (Milano, Foro Buonaparte 46) la mostra “Oltre” di Fabrizio Ceccardi, curata da Angela Madesani. Le opere in esposizione provengono da due serie di lavori, “Out of Eden” (2010/2011) e “Ordinary Chaos” (2013), che, sebbene diverse, presentano alcuni punti in comune, come la presentazione di una natura lontana dall’idea di “giardino”, asciutta, quasi prosciugata, in cui dell’uomo restano solo ricordi, piccole tracce.
Conversazione con Fabrizio Ceccardi
Quali sono i punti di riferimento della sua ricerca? Durante il suo percorso ha mai incontrato le opere dei pittori paesaggisti del Seicento, in particolare Claude Lorrain e Nicolas Poussin?
Io ho sempre tratto spunto dall’arte, soprattutto dall’arte classica. Nicolas Poussin è uno dei miei artisti preferiti, ma non credo che Poussin sia più classico di Lucio Fontana: tutti e due sono grandissimi in due momenti diversi. Constable, Turner sono altri miei riferimenti, ma anche Caspar Wolf, pittore svizzero che ho conosciuto grazie a una mostra a Basilea. La mia idea di fotografia è molto legata all’arte: togliere tutto ciò che ha di realismo la fotografia per giungere a un qualcosa di personale, togliere per aggiungere qualcosa di tuo.
La sua fotografia vive di attimi o è invece un’attenta composizione?
Io quando faccio un lavoro prima penso a un progetto, c’è tutta una progettualità dietro. Cerco spesso dei luoghi che possano adattarsi alla mia idea, poi vado in quei determinati luoghi. C’è poco di casuale, è tutto studiato. Non è una fotografia di reportage, che non mi interessa (pur bella che è), ma è un’altra idea di vedere. Ritornando al discorso su Poussin, è una sorta di “natura naturata”.
Come è riuscito a coniugare una ricerca così intima all’idea dell’infinito?
L’idea dell’infinito, dell’orizzonte, con questa linea che divide, mi ha sempre affascinato. Soprattutto nel primo lavoro (Out of Eden), dove io declino nel bianco, perché credo che il bianco sia l’improbabilità rispetto alla probabilità delle cose. Trovo che il bianco sia improbabile, un qualcosa dove tu entri e poi ti perdi, e credo che l’idea dell’improbabilità sia anche dentro di te.
Fabrizio Ceccardi vive e lavora tra Reggio Emilia e Roma. I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre personali e collettive a Parigi, Basilea, Strasburgo, Tolosa, Biarritz, Roma, Ferrara, Mantova, Bologna, Modena.
L’esposizione è aperta dal 28 Novembre al 16 Gennaio 2015, dal lunedì al venerdì (10 – 12.30 / 14 – 18), sabato su appuntamento. L’ingresso è libero.
Vincenzo Di Rosa
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