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FASANO: Una città al limite

Da Trame In Divenire @trameindivenire
FASANO: Una città al limite

Fasano - Piazza Ciaia

Immobilismo politico e pubblica inerzia. Serve un sussulto.

Per una città come Fasano, contraddistinta da un territorio unico, soprattutto per la sua ricchezza morfologica che nei millenni si è tradotta in storia e cultura, in civiltà e lavoro, in tradizioni e arte, per un territorio come questo, che abbraccia il mare e la collina in un colpo d’occhio, tra cielo, mare e ulivi, la politica non può limitarsi a svolgere il ruolo di mero amministratore di condominio, per tenere in piedi il “palazzo e i suoi inquilini” – gli stessi amministratori, insomma – senza tener conto di su cosa poggia il palazzo.

E’ quello che sta avvenendo ormai da un ventennio a Fasano. Un fenomeno che negli ultimi dieci anni ha raggiunto i limiti più esterni della sua ontologia, oltre i quali non vi è più politica né cosa pubblica, non c’è più città, non ci sono più cittadini. E questo è tanto vero se si pensa che l’amministrazione di questo “palazzo”, giorno dopo giorno, viene demandata sempre più a terzi, soprattutto imprese, magari nate bell’apposta per sopperire a questa artificiosa esigenza. Un fenomeno e un sistema, tutto italiano, che ama definirsi liberismo!

E non è detto che questa delega in bianco sia affidata a imprese legate al territorio e secondo regole democratiche. Il che è ancora peggio. Quello che conta è che questo sistema funzioni e lasci tranquilli il politico e i suoi accoliti. Dove il politico somiglia sempre più a un mediatore di commercio.

In verità a ben guardare, l’accolito è proprio il politico, accolito asservito a ben altri poteri . L’esatto opposto di quello che la politica e la cosa pubblica dovrebbero essere: un bene comune, da condividere e da amare, a beneficio della comunità tutta. Aggiungerei – in una visione più universale dell’uomo/cittadino del modo – che, la cosa pubblica non può limitarsi al bene della comunità che la abita in pianta stabile come se fosse per l’eternità. Di più, deve – è di dovere della politica che si tratta – contemplare la comunità umana tutta, nel suo divenire e avvicendarsi nel tempo e nello spazio mondo, poiché del mondo è cittadino l’uomo.

A Fasano accade il contrario

Accade quello che accade all’Italia del liberismo federale dove i beni pubblici, fin anche il demanio immobiliare e naturale, viene inesorabilmente alienato ai privati, non tanto per una migliore gestione, quanto per una migliore gestione privata del profitto. Dove il rendimento, non solo quello economico, è tutto per il privato. Destinato a pochi privilegiati da pochi amministratori di condominio.

Lo specchio italiano

Se il Gruppo Marcegaglia a La Maddalena ha fatto il colpo grosso con la mega struttura che avrebbe dovuto ospitare il G8, e se Marchionne e il governo vedono nei lavoratori uno strumento usa e getta a proprio piacimento, senza alcun rispetto per la dignità umana e per i diritti sanciti dalla costituzione a Fasano il colpo grosso alla faccia della spesa pubblica, si gioca su più fronti in un solo colpo.

Facciamo degli esempi?

Il nuovo mercato ortofrutticolo, realizzato a spese del pubblico, mentre si appresta a festeggiare il suo ennesimo compleanno, sembra sia stato indirizzato, in maniera sottile, di gestione in gestione, verso le mani di chi ormai non fa altro che alimentarsi grazie al sistema di smembramento dei beni comuni.

I parcheggi

Dimenticate volutamente le strisce bianche, le blue hanno prodotto come unico beneficio per la città una lieve riduzione delle auto in sosta e in circolazione, che fino a qualche settimana prima opprimevano l’estetica della città e l’aria nei polmoni. E mentre i profitti del biglietto vanno soprattutto a beneficio degli appaltatori, i costi restano a carico esclusivo dei cittadini.

I rifiuti

Che dire poi della raccolta differenziata, partita con un ritardo spaventoso per una città che pretende di essere il faro del turismo internazionale. Un servizio inadeguato e limitato, quello reso dalla Monteco, che anziché tradursi in un beneficio per i costumi civili, per l’ambiente e per l’economia delle famiglie, rappresenta l’aggravarsi dei costi a danno soprattutto degli onesti, soprattutto se si pensa poi, che in discarica non è affatto chiaro quello che accade. Anche in questo caso non si capisce chi è a trarne il vero beneficio.

Il territorio

E perché tralasciare la questione del territorio, preda ormai di grossi investitori che ne ricavano gabbie dorate per pochi ricchi sacrificando, a proprio vantaggio, arte, archeologia e natura? E che dire dei beni archeologici, immolati all’altare dei profitti del podestà di turno? Non è quello che è accaduto in sorte a Egnazia e a una delle più grandi lame del territorio (divenuta un mini lago privato con tanto di gozzo per momenti romantici), che dalle colline scende a mare, in cui, un tempo non molto lontano, erano ben visibili gli insediamenti rupestri?

E si, le lame,che sono innanzitutto un corso d’acqua naturale, uno sfogo spontaneo per le precipitazioni alluvionali. Piogge che negli ultimi anni somigliano, sempre più, a tempeste tropicali che spazzano via tutto quanto trovano loro avanti, non avendo più il loro corso.

Ma per un luogo ameno da destinare a portafogli d’élite, questo è un sacrifico a cui non si può rinunciare. Tanto in questa visione del territorio e della politica mentre i benefici sono ben indirizzati verso alcuni, i costi non risparmiano nessuno o quasi, secondo un principio inverso e perverso rispetto al principio della sussidiarietà e redistribuzione delle risorse, come vorrebbe una civiltà democratica evoluta. Ma siamo nella terra dei dolmen, dell’unico dolmen rimasto. E come il dolmen, pare che anche la nostra classe politica sia rimasta all’epoca del neolitico, in cui gli uomini si misuravano con una saggezza che oggi stentiamo a riconoscere. Quella stessa sapienza che ha permesso a quegli uomini di innalzare pietre miliari che a qualcuno appaiono un prodotto da trogloditi: un opera che in realtà necessita di appropriati calcoli ingegneristici. Quella stessa sapienza che ha sorretto per circa un millennio la civiltà di Egnazia, saccheggiata da tombaroli di ogni sorta.

Non è tutto, purtroppo

Fasano è una ferita aperta, una lacerazione inferta al tessuto sociale, economico e culturale.

Avremo modo (ahimè) di approfondire altri aspetti di questa ferita. Intanto, per uscire fuori da questo inganno serve un sussulto, un sussulto della coscienza, se non vogliamo una vita e una città subordinata al volere di pochi e ai limiti della città.

 

giuseppe vinci

 

pubblicato su: Largo Bellavista Marzo 2011

mensile indipendente della Valle d’Itria – anno 5 n. 49


 


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