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Fascismo, un confort millantato

Creato il 08 febbraio 2013 da Gadilu

Candidati che in campagna elettorale la sparano grossa. Normalità. Chi oserebbe sottrarsi all’impulso di dire qualcosa che attiri l’attenzione, che colpisca in modo esemplare l’immaginazione? Ma l’esemplarità non si esaurisce quasi mai nel ridicolo “choc” che osserviamo imperversare nei titoli dei giornali, come fosse davvero preceduto dal sostantivo “dichiarazioni” e non da una spaventosa “noia”. Perlopiù si tratta di luoghi comuni, i più duri a morire. Frasi buttate là tanto per dire, fra sospiri, gemiti o sbotti travestiti da effetti pirotecnici per un’intervista, i microfoni puntati sotto al naso.

Sul fascismo i luoghi comuni abbondano nella loro sfumatura consolatoria e finiscono quasi tutti in braccio all’espressione “italiani brava gente”. È un topos al quale ci si abbarbica persino in flagranza di abominio: “si stava meglio quando si stava peggio”, “i treni arrivavano in orario”, “allora si poteva dormire con le porte aperte” (da quest’ultimo Leonardo Sciascia ha ricavato anche un formidabile romanzo). Ultimamente, però, ne abbiamo ascoltato uno che ha trovato la maniera di essere applicato in una sua variante altoatesina: “il fascismo ha fatto anche tante cose buone”. E tra le cose buone fatte dal fascismo, per venire a quanto dichiarato da Michaela Biancofiore, le canalizzazioni, i gabinetti domestici e le autostrade. Sì, persino le autostrade, nonostante la prima autostrada italiana, quella “del sole”, sia stata realizzata tra il 1956 e il 1964, mentre quella “di casa”, del Brennero, risalga ai primi anni Settanta, cioè l’epoca in cui è nata Biancofiore.

Si tratta solo di menzogne, dunque? No. C’è qualcosa di peggio. Ogni luogo comune vampirizza anche una parte di verità estratta dal proprio contesto. Nel caso delle affermazioni pronunciate da Biancofiore abbiamo così a che fare con menzogne credute vere da tante persone, e in un modo talmente tenace da resistere a qualsiasi tentativo di confutazione. Servirebbe a poco, insomma, cimentarsi in una puntuale opera di correzione, magari per sentirsi confinare nel ruolo di insopportabili maestrini. Ciò che però non può essere davvero taciuto, anche se ci costringe a specchiarci in qualcosa di molto spiacevole, è il “razzismo culturale” che continua ad affacciarsi da quelle parole.

L’immagine del povero bambino sudtirolese minacciato dalla polmonite, in quanto appartenente a un modello culturale primitivo e privo di bagno, bambino dunque “salvato” dai servizi sanitari del regime, è ributtante perché avvolta nella retorica civilizzatrice di un confort millantato per relativizzare una stagione di barbarie politica.

Corriere dell’Alto Adige, 8 febbraio 2013


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