Per me Ferrara è soprattutto la città di Michelangelo Antonioni. Ogni pietra, ogni filo d'erba all'interno del suo perimetro sono densi della sua presenza.
E' una città intimista, Ferrara. Esattamente come non lo sono Bologna, Modena e Reggio Emilia. Come non lo è Parma - salottiera e francese - e nessun'altra città dell'Emilia-Romagna.
In questi giorni la città estense offre ai visitatori un'alternativa aerea alla sua dimensione bassa e interiore: decine di coloratissimi e giganteschi palloni si levano in volo per riscattarla da quel ruolo triste e ingombrante di palude dell'anima in cui c'è tutto il primo Antonioni, quello di Gente del Po e di Nettezza urbana.
Nel volo della mongolfiera c'è però anche la metafora dell'alienazione del secondo Antonioni, quello di Deserto Rosso, il film che più di ogni altro racconta il disagio di un'esistenza abbrutita da un contesto industriale e operoso che non lascia spazio alla dimensione interiore. Il pallone lentamente si allontana dalla realtà della materia urbana e cerca risposte negli spazi vuoti dominati dalle correnti invisibili. Più leggero dell'aria, senza timone, senza motore, va dove il vento lo spinge.
E' così che si muove un'anima in fuga.
Il luogo da cui le mongolfiere decollano è un enorme spazio verde nella prima periferia della città. Si può assistere al lento processo della combustione che innesca la costruzione a terra del pallone. Ci sono bibite, panini, patatine fritte, giri sui pony di poco più di un minuto a tre euro, tonnellate di gonfiabili per i bambini più atletici, kebab. Ci sono soprattutto la musica a palla - la stessa dei villaggi turistici - ed il vocalist di turno che non tace un secondo e ti lesiona i timpani.
Così, quando il primo pallone riesce finalmente a staccarsi dal suolo, ho la ferma impressione che a bordo ci sia Michelangelo.
Mentre la sua personale mongolfiera prende quota, lo vedo intonare uno dei suoi sorrisi più tristi, simile in tutto e per tutto alla smorfia scolpita sul volto di Monica Vitti in quel vecchio film del 1964.
Magazine Cultura
Ferrara Balloons Festival, tante metafore in un pallone solo.
Creato il 10 settembre 2012 da Stanza51 @massimo1963
Per me Ferrara è soprattutto la città di Michelangelo Antonioni. Ogni pietra, ogni filo d'erba all'interno del suo perimetro sono densi della sua presenza.
E' una città intimista, Ferrara. Esattamente come non lo sono Bologna, Modena e Reggio Emilia. Come non lo è Parma - salottiera e francese - e nessun'altra città dell'Emilia-Romagna.
In questi giorni la città estense offre ai visitatori un'alternativa aerea alla sua dimensione bassa e interiore: decine di coloratissimi e giganteschi palloni si levano in volo per riscattarla da quel ruolo triste e ingombrante di palude dell'anima in cui c'è tutto il primo Antonioni, quello di Gente del Po e di Nettezza urbana.
Nel volo della mongolfiera c'è però anche la metafora dell'alienazione del secondo Antonioni, quello di Deserto Rosso, il film che più di ogni altro racconta il disagio di un'esistenza abbrutita da un contesto industriale e operoso che non lascia spazio alla dimensione interiore. Il pallone lentamente si allontana dalla realtà della materia urbana e cerca risposte negli spazi vuoti dominati dalle correnti invisibili. Più leggero dell'aria, senza timone, senza motore, va dove il vento lo spinge.
E' così che si muove un'anima in fuga.
Il luogo da cui le mongolfiere decollano è un enorme spazio verde nella prima periferia della città. Si può assistere al lento processo della combustione che innesca la costruzione a terra del pallone. Ci sono bibite, panini, patatine fritte, giri sui pony di poco più di un minuto a tre euro, tonnellate di gonfiabili per i bambini più atletici, kebab. Ci sono soprattutto la musica a palla - la stessa dei villaggi turistici - ed il vocalist di turno che non tace un secondo e ti lesiona i timpani.
Così, quando il primo pallone riesce finalmente a staccarsi dal suolo, ho la ferma impressione che a bordo ci sia Michelangelo.
Mentre la sua personale mongolfiera prende quota, lo vedo intonare uno dei suoi sorrisi più tristi, simile in tutto e per tutto alla smorfia scolpita sul volto di Monica Vitti in quel vecchio film del 1964.
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