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Festa della Liberazione. La storia di Perlasca

Creato il 25 aprile 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Il 25 aprile 1945, parola d’ordine: “Arrendersi o perire”. Erano circa le otto del mattino quando il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia annunciò la rivolta contro i nazifascisti che ancora assediavano diverse zone del Nord Italia. Il programma radiofonico invitava tutti i partigiani all’attacco e alla liberazione dei territori italiani ancora sotto assedio. Bastarono cinque giorni per mettere fine alla dittatura fascista che da vent’anni governava l’Italia.

La data del 25 aprile è tutt’oggi festeggiata. Fu proposta dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi e approvata dal Principe Umberto, e venne dichiarata festa nazionale in tutta Italia nel 1946 sul numero 96 della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarata festa nazionale”. La libertà: concetto che durante la Seconda guerra mondiale era stato messo a dura prova dal regime fascista alleato con il nazismo della Germania di Adolf Hitler. 5.860.000, secondo le statistiche, furono le vittime delle persecuzioni a danno degli ebrei. Per l’occasione ricordiamo Giorgio Perlasca, che sottrasse 65.218 ebrei dallo sterminio.

Un Oskar Schindler italiano, Perlasca nacque a Como il 31 gennaio 1910, trasferitosi in seguito con la famiglia in provincia di Padova per il lavoro del padre. Nei primmi anni del regime partecipò attivamente alla vita politica aderendo con entusiasmo al fascismo e combattendo a fianco del generale Franco, il quale, al congedo di Perlasca, gli fece recapitare un messaggio che in seguito lo avrebbe aiutato a salvare migliaia di vite: “In qualunque parte del mondo ti troverai, rivolgiti alle ambasciate spagnole”. Incaricato come diplomatico venne mandato nei Paesi dell’Est dall’industria SAIB, che importava carne per l’esercito.

Nel 1943, con l’armistizio di Badoglio, Perlasca si rifiutò di sostenere la Repubblica Sociale Italiana e venne internato in un castello riservato ai diplomatici fino all’ottobre del 1944, quando riuscì a fuggire, seguendo poi il consiglio che gli era stato dato anni prima dal generale Franco rivolgendosi all’Ambascaita spagnola. Qui inziò la sua collaborazione con l’ambasciatore Sanz Briz. Aiutati dalla Città del Vaticano, dalla Svizzera, dal Portogallo e dalla Svezia riuscirono, con uno stratagemma, a proteggere cittadini ebrei e ungheresi dalle deportazioni. A questi ultimi vengono rilasciati dei salvacondotti, ovvero dei “lasciapassare” che garantivano l’incolumità personale e consentivano l’ingresso e la circolazione in una zona vietata perlopiù militare.
La strategia di Perlasca si basava su una legge rilasciata da Miguel Primo de Rivera nel 1924,che riconosceva la cittadinanza a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita,  di antica origine spagnola. Venne poi arrestato dall’Armata Rossa a Budapest, ma subito liberato.  Fece così rientro in Italia.
Del suo atto di eroismo, della sua battaglia contro il genocidio ebraico non ne fa parola con nessuno. Anche i parenti più stretti sono totalmente all’oscuro dell’accaduto. Fu solo negli anni Ottanta che alcune delle donne sopravvissute all’olocausto testimoniarono la loro liberazione dal regime e dalle persecuzioni, da lì una lunga serie di altre testimonianze sulla liberazione orchestrata da Giorgio Perlasca vennero mandate a televisioni e testate giornalistiche.
Il 15 agosto 1992 il modesto eroe della liberazione muore e il figlio Franco racconta la storia al giornalista Enrico Deaglio,che farà in seguito conoscere la storia di Perlasca con il libro: “La banalità del bene”. Il 6 aprile di quest’anno il Parlamento spagnolo ha approvato una legge che permette agli ebrei sefarditi di ottenere la cittadinanza spagnola, idea promossa dal ministro della Giustizia Ruiz-Gallardon. Oggi, 25 aprile, a 70 anni dalla Liberazione celebriamo le persone che, come Perlasca, hanno contribuito alla lotta contro l’olocausto. Le loro azioni continuano ancora a vivere nel presente.

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