The Immigrant, in concorso a Canne 66, narra la struggente storia di Ewa, una donna polacca che sbarca a New York nel 1921 alla ricerca di un futuro migliore. Costretta a prostituirsi per guadagnare i soldi che le servono per liberare la sorella tenuta nell’infermeria di Ellis Island, Ewa viene contesa dai cugini Bruno e Orlando, entrambi innamorati di lei. Nei panni di Ewa una grande Marion Cotillard, in quelli dei due uomini un immenso Joaquin Phoenix e un convincente Jeremy Renner. Dietro la macchina da presa uno dei registi americani più interessanti dell’ultima generazione, James Gray.
Buona parte del film è ambientato ad Ellis Island. Avete girato lì?
James Gray: Si, abbiamo girato lì, ma abbiamo avuto diversi problemi perché l’isola è aperta al pubblico 365 giorni l’anno e non siamo riusciti a farla chiudere neanche per un giorno. Per cui abbiamo dovuto girare di notte usando delle gru per illuminare il set. Quel posto fa parte della Storia americana e questa Storia, quando sei lì, la percepisci. Nei primi anni 20’ tutti gli immigrati passavano per Ellis Island, e buona parte degli americani ha almeno un parente che è sbarcato lì.
L’immigrazione è il tema principale del film. James, lei cosa pensa dell’immigrazione?
James Gray: Credo che l’immigrazione faccia crescere un paese, lo renda vitale, lo arricchisca. Pensiamo ad esempio a Los Angeles, dove la multiculturalità è fondamentale. Due secoli fa gli immigrati erano visti come sporchi, pigri, stupidi. Ora invece ci rendiamo conto che sono e sono stati necessari per gli Stati Uniti.
Marion Cotillard, nel film recita in polacco. Quant’è importante la lingua per la creazione di un personaggio?
Marion Cotillard: E’ uno degli elementi che caratterizza un personaggio, come anche il modo di parlare e di muovere il proprio fisico. Per questo ruolo mi sono preparata a lungo e ho avuto un ottimo professore che mi ha seguita passo passo. Però devo ammettere che recitare in polacco ed in inglese con accento polacco non è stato per niente semplice e ho sentito molta pressione addosso.
Anche in Blood Ties ha dovuto recitare in italiano, non è nuova a questo tipo di interpretazioni…
Marion Cotillard: E’ stata una sfida per me. James mi ha dato la sceneggiature e il mio personaggio aveva venti pagine in polacco. Mi sono davvero spaventata, non credevo di farcela, perché è una lingua completamente diversa sia dal francese che dall’inglese. E’ interessante però dover recitare in una lingua che non conosci, perché impari a combinare le parole e a scoprire anche la cultura che sta dietro questa lingua.
James, è vero che prima di lavorare con Marion non aveva visto neanche un suo film?
James Gray: E’ vero, purtroppo negli ultimi anni sono dovuto stare dietro ai miei figli e molti film non li ho potuti vedere. In ogni caso, Marion è un’attrice fantastica, e non credo che per lavorare con un attore si debba per forza aver visto i loro film precedenti. L’importante è parlarsi e confrontarsi.
Jeremy Renner invece come l’ha scelto?
James Gray: Avevo visto i suoi film e mi era piaciuto molto in The Hurt Locker di Katherine Bigelow. Penso che il suo viso abbia qualcosa che sullo schermo ricorda molto Clark Cable.
E Joaquin Phoenix?
James Gray: A volte ti rendi conto che con alcuni attori condividi le stesse idee sulla vita e sull’arte. Joaquin è uno di questi. La prima volta che ho lavorato con lui ho capito che aveva tantissime emozioni da trasmettere. Lui vive il suo personaggio ed è un grande attore e una grande persona.
di Antonio Valerio Spera