Ci mancava Alfonso Cuaròn, un regista capace di stupire ogni qualvolta ha l’opportunità di creare e di inventare senza alcun vincolo produttivo. Infatti, non ci aveva convinto fino in fondo, pur dando il suo tocco alla serie, solo quando si era lasciato sedurre dal maghetto Harry Potter, ma tutte le altre volte che si è ritrovato dietro la macchina da presa con un proprio progetto artistico ha sempre lasciato il segno. Basti pensare a Y tu mamà tambièn, o allo splendido I figli degli uomini, film che da Venezia 2006 uscì inspiegabilmente senza neanche un premio. Non potrà incappare nello stesso rischio la sua nuova fatica Gravity, che è stata scelta dal direttore Barbera per aprire la Mostra senza però essere inserita nella lista del concorso ufficiale. Un’opera mastodontica, impressionante, illuminante che dietro la sua apparenza di blockbuster tutto effetti speciali e di vetrina per due grandi star – i premi Oscar George Clooney e Sandra Bullock – presenta invece gli elementi di una grande pellicola d’autore. Un autore che sa coniugare spettacolo e anima artistica come pochi riescono nel panorama cinematografico mondiale. Gravity, infatti, è un eccellente opera che vive su un complicatissimo circuito di equilibri. L’equilibrio fisico, quello dei due protagonisti spersi nello spazio senza punti di riferimento concreti e senza forza di gravità; l’equilibrio mentale, che devono mantenere i due personaggi in una situazione in bilico tra la vita e la morte; l’equilibrio visivo, che in questo caso diventa armonia geometrica espressa sullo schermo nel rapporto tra lo spazio infinito e i confini della sfera terrestra; e lo straordinario equilibrio narrativo, quello che riesce a costruire Cuaròn, alternando sapientemente i momenti di grande azione a quelli più incentrati sulle psicologie e le anime dei personaggi e non permettendo mai che il racconto perda ritmo.
Basta questo delicato incrocio di equilibri a fare di Gravity un film sontuoso, di sopraffina confezione che calamita lo sguardo e coinvolge emotivamente. Impreziosito da un 3D assolutamente efficace e immersivo che scaraventa lo spettatore direttamente nello spazio illimitato dell’universo, facendo a volte coincidere il suo sguardo con quello dei personaggi, l’ultimo lavoro di Cuaròn tiene col fiato sospeso dall’inizio alla fine e sin dalla prima inquadratura si presenta come un vera e propria gioia per gli occhi. Il regista messicano dimostra ancora una volta di possedere un talento unico nel manovrare materie narrative e visive di rara complessità. Qui sorretto dalla splendida fotografia di Lubezki, riesce a infondere di poesia un prodotto filmico estremamente basato sulla tecnica. E questo è possibile solo quando tale tecnica viene espressa con classe ed eleganza. Qualità che Cuaròn possiede senza ombra di dubbio. Gravity ne è solo l’ennesima dimostrazione. Vedere per credere.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net