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Fiat, la "porcata"

Da Brunougolini
Se volessimo usare il linguaggio volgare di un Calderoli (Lega) diremmo che è una “porcata”. Stiamo parlando dell’accordo separato alla Fiat. Esso stabilisce, infatti, accanto ai sacrifici richiesti agli operai  (magari per supplire alla mancanza di modelli automobilistici competitivi) un nuovo meccanismo per la costruzione delle rappresentanze dei lavoratori. E’ un colpo inaudito alla democrazia sindacale, alla rappresentanza organizzata dei lavoratori.  I sindacati che infatti non obbediscono al diktat del moderno Sergio Marchionne saranno esclusi. Non potranno rappresentare i lavoratori  di Mirafiori che pure oggi in larga maggioranza aderiscono al sindacato fondato da  Di Vittorio.
Non si conoscono ancora i particolari dell’intesa ma le agenzie già parlando di una suddivisione equanime dei delegati (15 a testa) tra i firmatari, ovvero Fim-Cisl, Uilm-Uilm, Fismic, Ugl.  Saranno i dirigenti sindacali, chiusi nelle loro stanze, a scegliere chi li potrà rappresentare, senza ricorrere alle vecchie liste e connesse elezioni.  Il sistema adottato per la nuova Fiat  ricorda, appunto, quello inventato da Caldaroli e che concede ai segretari di partito la facoltà di scegliere, nel chiuso delle proprie stanze, i candidati delle varie organizzazioni politiche. Un impulso, per quanto riguarda i sindacati, alla loro burocratizzazione e al loro scollegamento nei confronti dei lavoratori considerati una massa inerte da gestire a piacimento.
Ha ragione uno come Giuliano Ferrara sul "Foglio" quando giudica gioiosamente la scelta di Marchionne “una rivoluzione”. Così come ha ragione Maurizio Sacconi a definire se stesso come il vero autore di tale “rivoluzione”. E’ il governo di centrodestra che ha coltivato la divisione sindacale e favorito quanto ora succede. Con una mossa storica che cancella perfino le lontane esperienze delle Commissioni interne. Forse soltanto nell’esperienza fascista si osò tanto. Chissà che cosa potrebbero dire i padri dei Consigli, da Bruno Trentin a Pierre Carniti a Sergio Garavini.  E anche quelli come Sergio D’Antoni che con Trentin e Pietro Larizza firmarono l’accordo del 1993 che, appunto, regolava le RSU, le rappresentanze sindacali aziendali.  Cancellato. Perché lo squillo che parte dalla Fiat non potrà non suscitare un processo imitativo. O perlomeno così si tenterà. Anche per questo la Confindustria ha tentato di frenare la “rivoluzione”: teme un processo a catena, un disgregamento, una rissa sociale. A meno che da subito non prevalga  una proposta vera sulla rappresentanza capace di trovare uno sbocco legislativo favorevole.
Cisl e Uil dichiarano che così si possono però attuare gli investimenti promessi dalla Fiat e che non  si poteva fare diversamente.  E’ probabile che agisca in queste organizzazioni una spinta moderata. Le ricerche sul voto operaio hanno chiarito come anche nel mondo del lavoro trovi presa il centrodestra con la Lega e altri. Perfino nella Fiom e nella Cgil e quindi, si immagina, ancor più nella Cisl e nella Uil. Ciò non toglie che su un punto come questo si poteva e si doveva trovare un argine unitario. Solo l’unità dei sindacati poteva convincere Marchionne ad evitare un simile passo.  Così come era possibile affrontare a  tempo debito un rinnovamento anche del sistema delle rappresentanze sindacali.

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