Dalla fusione di Fiat Automobiles spa e Chrysler nascerà una nuova società dal nome Fiat Chrysler Automobiles che si presenterà sul mercato con l’acronimo FGA. La nuova compagnia adotterà il diritto olandese, avrà la sede legale nel Regno Unito e sarà quotata sia a New York che a Milano. Come mai questa specifica combinazione?
Al giorno d’oggi le multinazionali possono scegliere in quale sistema dislocare le proprie funzioni scegliendo per ognuna di esse le condizioni più profittevoli sul mercato. L’azienda è dunque di diritto olandese perché in Olanda è assente la tassazione su dividendi e plusvalenze maturate. A dire il vero anche in Italia è molto bassa, nell’ordine di pochi punti percentuali, ma in ogni caso nessuna aliquota sarà mai minore dello 0% Olandese.
La nuova holding del gruppo avrà sede fiscale nel Regno Unito per essere vicina al cuore della finanza europea e perché la corporate tax britannica si aggira intorno ad un modesto 20% e negli anni è andata sempre più calando. Anche le tasse sul reddito della persona fisica sono ragionevoli, comparate con i servizi pubblici resi.
La quotazione avverrà sul mercato Italiano, per ragioni storiche e perchè in ogni caso Borsa Italiana rientra nell’orbita della London Stock Exchange, uno dei circuiti più importanti d’Europa. In più la duplice quotazione a New York permetterà di accedere al mercato dei capitali più efficiente del mondo.
I benefici di questa combinazione vincente si sono visti nel caso della fusione tra Fiat Industrial e CNH(Case New Holland). Anche in questo caso la società nata dopo la fusione scelse di avvalersi del diritto olandese, di stabilire la sede fiscale nel Regno Unito e di quotarsi su entrambi i mercati. Le nuove emissioni di Bond sono state collocate ad un tasso di interesse circa il 2% inferiore a quello che aveva Fiat Industrial, questo perché l’azienda si era ormai svincolata dalla finanza nostrana che prevede dei tassi molto più alti, riuscendo a beneficiare della grande espansione di liquidità avvenuta sui mercati americani.
Il nostro Paese viene dunque abbandonato da uno dei suoi simboli? Le eventuali ricadute occupazionali non si potranno osservare nel breve periodo, ma dato che una società per avvalersi di una tassazione estera deve trasferire alcune funzioni amministrative all’estero la cosa più logica è che sarà poco personale qualificato a trasferirsi. Si tratta di una lenta trasfusione di cervelli e di competenze altamente qualificate dal nostro paese verso altri sistemi economici. La colpa non è però della Fiat e della sua dirigenza, ma dello Stato italiano e di una pressione fiscale, sia sulle aziende che sui lavoratori, che è diventata un vero e proprio divieto di lavoro e di sviluppo. Anche se non vedremo a breve la chiusura degli impianti produttivi e pesanti ricadute occupazionali è chiaro che negli anni la carriera di tanti giovani laureati che sognano di entrare in questa realtà produttiva dovrà per forza spostarsi in un’altra nazione. Non è la Fiat che abbandona l’Italia, ma è lo stato italiano che da anni ha abbandonato una politica di sviluppo per le imprese. Certo è vero che nei decenni passati la Fiat ha goduto di importanti sovvenzioni, ma è anche vero che quando è diventata un’azienda moderna non ha trovato delle istituzioni disposte a seguire lo stesso cammino di modernizzazione. La globalizzazione ha creato una spaccatura nel lavoro. I lavoratori altamente qualificati, molto ricercati dalle aziende sono estremamente costosi in termini fiscali. Un’ingegnere con un buon grado di esperienza è molto più costoso in Italia che in Inghilterra o in Corea e può scegliere di cambiare società se non si sente valorizzato. Le scelte di Fiat sono semplicemente lo specchio del tempo scaduto per fare le riforme.