Titolo Easy Rider
Titolo originale Easy Rider
Anno 1969
Paese U.S.A.
Durata 94′
Regia Dennis Hopper
Sceneggiatura Peter Fonda, Dennis Hopper, Terry Southern
Musica Steppenwolf, The Byrds, Jimi Hendrix, Bob Dylan
Cast Peter Fonda, Dennis Hopper, Jack Nicholson
Capostipite e modello del genere road movie, Easy Rider è una pellicola che ha saputo ritagliarsi un suo spazio come film di culto, attraverso la rappresentazione della cultura, o meglio, della controcultura, dell’epoca in cui fu girato.
Narra il viaggio di due biker, Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper), che partendo da Los Angeles li vede effettuare un coast to coast al contrario, alla ricerca della propria libertà.
Wyatt e Billy sono due ribelli, due personaggi che simboleggiano il disagio di un’intera generazione che non si rispecchia più in quei modi di pensare tramandati fino ad allora; le splendide moto custom, il loro abbigliamento anticonvenzionale e l’uso di droghe (non solo come finzione scenica: Fonda, Hopper e Nicholson hanno girato moltissime scene sotto l’effetto di Marijuana e LSD) sono solo segni esteriori, sono la manifestazione fisica di tutto ciò.
Il loro approccio alla vita differisce però in alcuni punti, laddove Wyatt appare più silenzioso e meditativo, più pronto a riflettere su ciò che lo circonda, Billy mostra una lingua più sciolta ed un pensiero più portato alle cose pratiche. Queste differenze si riflettono anche nel loro abbigliamento, anche in questo caso Billy ha un aspetto più “selvatico” del compagno; non a caso sarà proprio Wyatt a capire come finirà il loro viaggio.
Il tema del viaggio on the road si sposa in maniera eccelsa con quelli della libertà e della ribellione, che hanno un ruolo centrale nella storia dei due bikers.
La strada è un luogo di passaggio, non può ospitare niente di stabile e duraturo. Ed infatti Wyatt e Billy, due figure simili ma complementari, incontrano un gran numero di persone diverse, appartenenti a diversi ambienti e dalle mentalità e punti di vista più disparati.
Ci sono i contadini che ospitano i due e che ricevono i complimenti di Wyatt per aver creato qualcosa che appartenga loro veramente, c’è l’hippy autostoppista che si fa riportare alla sua comune (dove la comunità che qui vive ha dovuto assistere alla lotta fra gli ideali e la realtà, con tutte le difficoltà pratiche della vita scelta), c’è l’avvocato alcolista George Hanson, superbamente interpretato da Jack Nicholson, che parte con loro alla volta della Louisiana e si rende protagonista di alcuni dei dialoghi più significativi del film, ci sono le donnine che tengono loro compagnia una volta giunti a New Orleans.
Ma assieme a queste figure in un certo senso positive, affini ai due protagonisti, vengono incontrati anche altri che rappresentano degli antagonisti: si tratta di quelle che potremmo definire le persone comuni, le persone normali; quelle che amano autodefinirsi persone per bene.
E così c’è il gestore del motel che rifiuta loro un tetto per la notte, ci sono gli avventori di una tavola calda che li trattano con ostilità e con commenti spregiativi ed offensivi, ci sono i due campagnoli sul furgone azzurro.
L’ostilità è causata dal pregiudizio, dalla falsa convinzione che esista solamente un unico modo giusto di vivere, e che questa legittimità sia data solamente dall’essere quello più comunemente accettato e condiviso. L’anticonformismo e la ribellione, che sono tratti esteriori con cui si manifesta la volontà di poter esprimere liberamente sè stessi, senza alcuna costrizione imposta dalla società, vengono visti come minacce alle proprie sicurezze artificiali (dopo tutto, nella vita abbiamo tutti una sola unica certezza); queste sono costruite per non doversi confrontare col diverso e magari dover constatare che esiste anche la possibilità di non essere dalla parte della ragione, o perlomeno che tale ragione può non essere valida per tutti.
Oggi come oggi forse questo film non ha l’impatto che ebbe all’epoca, un motociclista fa molto meno scandalo rispetto a quarant’anni fa; i tempi si sono evoluti, e con essi la sensibilità nei confronti di determinati atteggiamenti.
Moto, abbigliamento, vita sregolata sono tutti simboli, ed in quanto tali per forza di cose il loro significato viene mostrato in maniera figurata. La libertà e la ribellione non necessitano per forza di cose di questi elementi, ma risiedono essenzialmente nella testa delle persone. Questo è tanto più vero in un epoca come la nostra, che vede spinto all’ennesima potenza quel sentimento di omologazione che il film di Hopper vede come nemico della libertà di ciascuno.
Rimane comunque la forte connotazione romantica e nostalgica che questa pellicola ha per lo spettatore attuale: è uno spaccato di una generazione e di un mondo che ormai non ci sono più, ma che hanno costituito un periodo di svolta, o perlomeno di un tentativo. C’erano comunque grandi forze e grandi energie spese per degli ideali, non solo a livello individuale ma come movimento su grande scala.
Oggi le grandi personalità che percorrevano le strade di questo mondo qualche decennio fa non ci sono più, e si fatica ad individuare dei corrispettivi attuali. Strano però essere nostalgici di un epoca che non si è vissuta in prima persona, gli anni a cavallo tra la fine del ’60 e l’inizio del ’70 me li sono persi “solo” di una quindicina di anni, suppergiù.
Dal punto di vista più strettamente cinematografico, la pellicola si contraddistingue dalla presenza di pochi dialoghi, che paiono più frammenti di conversazioni fra Fonda ed Hopper piuttosto che di battute recitate dai corrispettivi personaggi; ma soprattutto dalle lunghissime scene sulla strada, con i due biker che attraversano paesaggi da favola accompagnati dalle note di rock blues e psichedelico degli Steppenwolf, dei Byrds, di Jimi Hendrix e di Bob Dylan. E scusate se è poco!
È insomma un film che ho apprezzato molto e che consiglio a chi ancora non l’abbia visto. Intanto vi lascio col dialogo sulla libertà, che riassume in buona parte tutto lo spirito del film, e con i titoli di testa, che mostrano bene quale sia l’aspetto e lo spirito dell’intera pellicola.
- Una volta questo era proprio un gran bel paese, e non riesco a capire quello che gli è successo.
- È che tutti hanno paura, ecco cos’è successo. Noi non possiamo neanche andare in uno di quegli alberghetti da due soldi, voglio dire proprio di quelli da due soldi capisci? Credono che si vada a scannarli o qualcosa, hanno paura.
- Si ma non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate.
- Ma quando… Per loro noi siamo solo della gente che ha bisogno di tagliarsi i capelli.
- Ah no… Quello che voi rappresentate per loro, è la libertà.
- Che c’è di male nella libertà? La libertà è tutto.
- Ah sì, è vero: la libertà è tutto, d’accordo… Ma parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada, non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo: ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.
- Eh la paura però non li fa scappare!
- No, ma li rende pericolosi.