Titolo: I figli degli uomini (Children of Men)
Regia: Alfonso Cuarón
Anno: 2006
Paese: Gran Bretagna
Durata: 106 minuti
Genere: avventura, mistery, fantascienza, thriller, distopia
Attori: Clive Owen, Julianne Moore, Michael Caine, Claire-Hope Ashitey, Chiwetel Ejiofor, Charlie Hunnam, Peter Mullan, Pam Ferris
Trama: Le vicende si svolgono nel 2027, a Londra, e l’ambientazione è simile a quelle di altre città vittime di guerre e guerriglie: atti vandalici, ribellione e degrado hanno preso piede un po’ ovunque. Gli immigrati si spostano illegalmente da uno stato all’altro, alcuni vengono relegati in campi profughi, altri fuggono e si aggregano alle tante compagini ribelli. L’infertilità ha colpito la specie umana, da 18 anni non nascono più bambini e la popolazione piange la morte per l’assassinio di Baby Diego, l’ultimo nato del pianeta, la persona più giovane del mondo.
Recensione: Nato dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica Phyllis Dorothy James (perché se gli alieni attaccano solo in America, i governi peggiori che rasentano il nazismo se li cicciano gli inglesi), “I figli degli uomini” è un eccellente film con un’eccellente regia e un’eccellente cast di attori.
Nel caso che ve lo steste chiedendo: no, sono uscita da un pezzo dal mio periodo di fangirling per Clive Owen e dopo un rewatch a distanza di un paio d’anni ho colto quei particolari che all’inizio non vedevo.
Partiamo dalla trama: come sempre ci sono molti riferimenti e critiche alla società contemporanea e sono così tanti da far bagnare nelle mutande gli scrittori di fantasy nostrani (cit.). Il messaggio sociologico è ben reso: umani, siete troppi. Per cui io natura ho deciso che il sovrappopolamento è un problema. E zac, niente più bambini. Guerre e terrorismo sono stati il passo successivo e così l’intero mondo è nel caos.
In un mondo in cui nessuno può più avere figli, il governo dichiara legale il suicidio e lo consente vendendo il Quietus, un veleno che iniettato permette di passare a miglior vita senza nemmeno accorgersene.
Per Theo, il protagonista, i problemi iniziano quando l’ex moglie Julian (che comanda i Pesci, un’associazione terroristica) lo fa rapire e lì scopre l’esistenza di Kee, una ragazza di colore che *rullo di tamburi* è incinta. Come non ci è dato saperlo, ma è tutto molto commovente fino a che Julian non si becca una pallottola in testa in un agguato degli stessi Pesci che la vogliono scalzare e Theo è costretto a scappare con Kee e Miriam, un’ostetrica hippy.
Riguardo alla regia e al cast, una nota di merito va ovviamente a Clive Owen, che è perfetto per il ruolo di Theodore ed è in grado di trasmettere umanità e dolore nel contesto in cui si trova, ma anche ironia e sarcasmo.
Le prese di scena invece hanno qualcosa che di rado ho visto altrove: una registrazione unica. Infatti per la maggior parte del tempo il film non è formato da singole scene spezzate, ma la scena è letteralmente “seguita” in movimento, da una stanza all’altra, giù per le scale, intorno a un muro o su una macchina. Non si ferma mai ed è azzeccato.
In conclusione: un bel film da vedere e rivedere, con particolare attenzione sui messaggi trasmessi. E non ha un lieto fine.