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Finanziamento pubblico dei partiti, dal 1974 a oggi un male necessario

Creato il 22 dicembre 2013 da Margheritapugliese

Era il 2 maggio 1974 ed in Italia il governo era presieduto per la quinta volta dal democristiano Mariano Rumor, supportato da una coalizione formata  da Dc, Partito socialista italiano (PSI) ,Partito socialdemocratico italiano (PSDI) e Partito repubblicano italiano(PRI). In quella data veniva promulgata dal Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, la legge n.195, più nota come “legge sul finanziamento pubblico dei partiti politici”.  Fu proposta dal parlamentare Dc Flaminio Piccoli (per questo è chiamata anche legge Piccoli, ndr), e fu approvata dalle Camere in tempo record, in appena 16 giorni con un consenso totale, a esclusione del Partito liberale italiano(PLI).

La celerità di questa nuova regolamentazione era dettata dallo scoppio, negli anni e mesi precedenti, di scandali che vedevano protagonisti politici e finanziamenti ad essi o al partito di riferimento, da parte di importanti imprese italiane. Si possono citare i cosiddetti “scandali Trabucchi (dal nome del ministro delle finanze del Governo Moro II)” del 1964 e 1965, nel primo caso rinominato“scandalo delle banane”,  il ministro facilita il monopolio del mercato delle banane da parte del grossista Assobanane, in cambio di tangenti al partito, mentre nel secondo caso, denominato “scandalo dei tabacchi”, l’esponente governativo della Dc accordava indebite licenze per l’importazione di tabacchi a due società appartenenti ad un ex deputato democristiano in cambio di finanziamenti alla DC. Entrambe gli scandali verranno “insabbiati”, in quanto le Camere voteranno contro il rinvio del ministro davanti alla Corte Costituzionale (prerogativa concessa ai ministri dalla Costituzione)e quindi si risolse in un nulla di fatto, come scrisse sul Corriere

Giuseppe Trabucchi

Giuseppe Trabucchi

della Sera del 25/6/1965 Giuseppe Maranini.

Oltre ai suddetti scandali, un altro caso di corruttela politico-amministrativa ci fu nel 1974 (appena pochi mesi prima della legge Piccoli, ndr) che vide protagonisti i segretari dei partiti governativi italiani (DC, PRI, PSDI, PSI) indagati dalla magistratura genovese nel cosiddetto “scandalo petroli”.Essi furono messi sotto indagine per la “compravendita delle leggi riguardanti la politica energetica. La tangente era del 5 per cento sui vantaggi derivanti ai petrolieri dall’ approvazione di quelle leggi: era dunque direttamente conseguente agli effetti dei vari provvedimenti legislativi e non una tangente su contratti, su forniture. Quel cinque per cento veniva ripartito, in proporzione al rispettivo peso politico, tra tutti i partiti di governo” come spiegò nel 1993 , in un’intervista al Corriere della Sera, l’allora pretore ligure che fece scoppiare lo scandalo.

Quindi, sulla scia di questi scandali, il governo Rumor decise di regolamentare e disciplinare la “vita economica” dei partiti politici, per rassicurare l’opinione pubblica che non sarebbero mai più accaduti fatti di corrutela generalizzata e commistione, con relativa dipendenza economica e quindi legislativa, tra lobby e maggioranza governativa. La legge n.195 del 1974 prevedeva lo stanziamento annuo di 45 miliardi di lire per finanziare le spese elettorali, le attività dei partiti e i gruppi parlamentari, nello specifico 30 miliardi per la Camera dei deputati e 15 per il Senato della Repubblica. Inoltre ogni formazione politica doveva pubblicare il bilancio finanziario consuntivo entro il 31 gennaio di ogni anno su un giornale nazionale e sul quotidiano di partito. Venivano vietati i finanziamenti o contributi provenienti da enti pubblici, società con partecipazione pubblica superiore al 20% , da organi della Pubblica Amministrazione pena , mentre riguardo ai “finanziamenti privati” , essi dovevano essere iscritti in bilancio e deliberati dall’organo sociale competente, inoltre dovevano essere specificati quelli con importo superiore al milione di lire, con indicazione nominale della persona fisica o giuridica erogante.

L’11 e il 12 giugno del 1978 gli italiani furono chiamati a esprimersi riguardo l’abolizione della Legge sul finanziamento pubblico ai partiti(oltre alla “Legge Reale“, riguardo l’ordine pubblico ndr). I referenda videro la partecipazione dell’81,2% di elettori ma la maggioranza degli aventi diritto(il 56,4%, ndr) votò per il No, per il mantenimento della legge del 1974, anche grazie al “consiglio” di partiti importanti come Dc e Pci.  Il comitato referendario era contrario alla Legge Piccoli in quanto pensava che lo Stato debba favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario per fare politica, non garantendo le strutture e gli apparati di partito, che devono essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti.

Successivamente nel 1981, durante il governo Spadolini, fu modificata la legge del 1974, con la legge n. 659 che prevedeva un grande aumento (quasi raddoppio,ndr)del finanziamento pubblico ai partiti, in particolare per l’anno 1980 c’è uno stanziamento di 72,63 miliardi di lire mentre per l’anno 1981 la somma fissata è di 82,886 miliardi di lire annui. Questa somma enorme venne ripartita in: 20% in maniera uguale per tutti i partiti e l’80% in proporzione ai voti ricevuti. Furono vietati per i partiti e i singoli esponenti(eletti, candidati o aventi cariche di partito) finanziamenti dalla pubblica amministrazione, da enti pubblici o a partecipazione pubblica. Inoltre venne introdotta una nuova forma di pubblicità dei bilanci: i partiti devono depositare un rendiconto finanziario annuale su entrate e uscite, ma non vengono predisposte misure di effettivo controllo sui bilanci.

Dopo la fine della Prima Repubblica, a causa dell’enorme e vasto sistema corruttivo che verrà fuori , in maniera lampante,per esempio,dalle inchieste di Tangentopoli, Mani Pulite ed Enimont, in Italia furono indetti, spinti dall’onda emotiva e di rabbia contro la classe politica italiana, rea di aver rubato soldi pubblici per fini privati e di aver lasciato l’Italia in un mare di debiti, i referenda abrogativi del finanziamento pubblico ai partiti. Gli elettori che si recarono alle urne furono il 77% degli aventi diritto, e i si furono il 93,8% , circa 34 milioni e mezzo di persone, e decisero la fine del sistema che aveva comandato fino ad allora in Italia.

1993: referendum

1993: referendum

Nello stesso anno del referendum abrogativo, sotto il governo Ciampi, il Parlamento decise di sovvertire la scelta plebiscitaria degli elettori italiani, attraverso la legge 515( “Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica”, ndr), aggiornando la disciplina, già esistente, dei rimborsi elettorali, rinominati “contributo per le spese elettorali”(art.9) e, nella pratica, fa rientrare dalla porta ciò che gli italiani avevano buttato dalla finestra:il finanziamento pubblico ai partiti.

L’art.9 della legge del 1993 dichiarava che “il contributo finanziario e’ attribuito, in relazione alle spese elettorali sostenute per i candidati nella campagna per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, ai partiti o movimenti, alle liste o ai gruppi di candidati”. Inoltre prevedeva che “Il contributo e’ corrisposto ripartendo tra gli aventi diritto due fondi relativi, rispettivamente, alle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. L’ammontare di ciascuno dei due fondi è pari, in occasione delle prime elezioni politiche che si svolgeranno in applicazione della presente legge, alla metà della somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di lire 1.600 per il numero degli abitanti della Repubblica quale risulta dall’ultimo censimento generale. “

Da aggiungere che il fondo riguardante il Senato è su base regionale ed “è suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione”, e nello specifico “Partecipano alla ripartizione del fondo i gruppi di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione o che  abbiano conseguito almeno il 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale”.  Riguardo il fondo della Camera dei deputati, la distribuzione è”in proporzione ai voti conseguiti per la attribuzione della quota di seggi da assegnare in ragione proporzionale, tra i partiti e movimenti che abbiano superato la soglia del 4 per cento dei voti validamente espressi ovvero abbiano ottenuto almeno un eletto a loro collegato nei collegi uninominali e abbiano conseguito almeno il 3 per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale”. Questa nuova disciplina venne applicata in occasione delle elezioni del 1994, che videro protagonista la prima vittoria politica di Berlusconi(circa 47 milioni di euro) e successivamente nelle elezioni del 1996, con vincitore Prodi.

Nel 1997 ,sotto il governo Prodi,  e nel 1999, sotto il governo D’Alema, vengono approvate due leggi ( n. 2 e n.157) che reintrodussero di fatto il finanziamento pubblico ai partiti politici.  La prima prevede un contributo volontario del 4 per mille dell’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) per finanziare i partiti politici, senza la possibilità di deciderne il destinatario.  Viene destinata una somma,per un totale massimo di 56,81 milioni di euro, da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. Successivamente per il solo anno 1997 viene introdotta una norma transitoria che fissa un fondo di 82,63 milioni di euro per l’anno in corso. Inoltre viene previsto un controllo della Corte dei Conti solo riguardo il rendiconto delle spese elettorali, mentre quello riguardo il bilancio è compito dell’ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati.

Mentre la seconda, la n.157 del 1999, prevede che il rimborso elettorale non ha più attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. Essa prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali e per i referenda.  L’art.9 prevede una copertura finanziaria “pari a lire 208 miliardi per il 1999, a lire 198 miliardi per il 2000 e a lire 257 miliardi annue a decorrere dal 2001″.

Per contrastare l’ennesimo capovolgimento del volere del popolo italiano,  vennero promossi , nel 2000, dai Radicali dei referenda abrogativi, tra cui quello riguardo la legge sui rimborsi elettorali che, però, non raggiunse il quorum (andò a votare solamente il 32,2% degli aventi diritto, circa 15,8 milioni di elettori).

finanziamento pubblico partiti_silvio belrusconi

Silvio Berlusconi

La politica italiana modificò ancora la materia dei rimborsi elettorali, specialmente nel 2002, governo Berlusconi, con la legge n. 156  trasforma in annuale lo stanziamento dei fondi ed abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale da parte dei partiti politici.  Vengono destinate somme pari a 125,328 milioni di euro per l’anno 2002, a 125,089 milioni di euro per l’anno 2003 e a 153,089 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2004. Infine l’ultima modifica che aumentò i fondi per il finanziamento dei partiti politici è del 2006, esattamente il 23 febbraio, ultimi giorni del governi Berlusconi, e troviamo nella legge di conversione del Decreto “Mille Proroghe”, art.39-quaterdecies(dal comma 2 in poi). Il presente articolo dispone che l’erogazione è dovuta per tutti gli anni di legislatura, indipendentemente dalla durata effettiva della stessa.

Nel 2012, durante il governo Monti, l’Italia era (ed è tuttora, ndr) un Paese morso dalla crisi, con un livello occupazione inferiore alla media europea, un’estesa disoccupazione giovanile e non, tagli enormi alla spesa sociale, innalzamento dell’età pensionabile e altre misure di austerità che hanno depresso vieppiù la situazione economico-sociale. Il 6 luglio di questo anno, con la legge 96, si è voluto dare un messaggio ai cittadini italiani, in quanto si dichiarava che anche la politica doveva fare sacrifici, doveva perdere alcuni privilegi, prebende e fondi, ritenuti insostenibili da un popolo tartassato e ridotto ad essere l’unico pagatore della crisi economica. Questa norma dimezza i contributi pubblici ai partiti, portandoli a 91 milioni di euro annui, introduce una regola che “avvantaggia” la presenza di donne in politica, in quanto “ciascun partito o movimento politico sono diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l’elezione dell’assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo sesso superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all’unita’ superiore”.

Riguardo la distribuzione dei fondi, essa avviene tra “I partiti e i movimenti politici che hanno conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati ovvero che hanno conseguito almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei consigli regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano” . Inoltre “tale importo e’ suddiviso in misura eguale in quattro fondi (Camera dei deputati, Senato, Regionali, ed Europee) uno per ciascuna elezione” ed è “proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione”. Infine è previsto la somma massima di 10mila euro di contribuzione liberale da parte di persone fisiche o giuridiche nei riguardo di un singolo partito o movimento politico.

Infine c’è il decreto legge del Governo Letta dello scorso 13 dicembre 2013, recante la “soppressione” della contribuzione statale ai partiti politici , con una riduzione annua del 25% dall’anno corrente fino alla totale abolizione nel 2017. La nuova “vita economica”, come ha spiegato bene il prof.Perotti sul sito valigiablu.it,della politica italiana si baserà sulla contribuzione volontaria del 2 per mille dell’Irpef, per la quale è stata destinata una somma massima di 45 milioni di euro annui, e l’innalzamento dal 26% al 37% delle detrazioni per le erogazioni liberali fino a 20.000 euro(quasi la  totalità). Quindi, calcola l’economista, “i partiti costeranno al contribuente tra i 30 ai 60 milioni di euro all’anno (secondo stime prudenziali o ottimistiche, ndr), poco meno di quanto costano ora“.

Alla fine di questa lunga analisi del sistema del finanziamento pubblico ai partiti vorrei esprimere la mia opinione. Io sono favorevole ad una contribuzione statale della politica, poichè essa deve essere accessibile a tutti, non può essere in mano, solamente, dei ricchi o di persone legate a lobby affaristiche. Questa deriva elitaria della politica in Italia è molto pericolosa, poichè indurrebbe l’elettore nella maggiore tentazione di disertare le elezioni, in quanto non convinto di poter cambiare qualcosa, sapendo che nel Parlamento e al Governo ci sono solamente dei burattini che prendono ordini altrove. Non che questi episodi non accadano sulla scena politica odierna, ma con l’abolizione dei rimborsi elettorali si metterebbe una pietra sopra ai diritti politici sanciti dalla nostra Costituzione, in quanto al cittadino italiano viene tolta la possibilità di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”(art.49). Sarebbe un’utopia pensare che un movimento di persone, senza capi popolo o megafoni stile Grillo, possa entrare in Parlamento o nelle istituzioni in generale, senza aver a disposizione opportunità economiche che livellino la competizione elettorale. Per approfondire l’inconsistenza, qualunquismo che si è generato da qualche anno a questa parte(da Grillo a Renzi, ndr) riguardo il “costo della democrazia” in Italia, vi segnalo l’articolo di Marco Lillo, giornalista del Fatto Quotidiano.


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