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Finanziere cucito su misura

Creato il 21 dicembre 2013 da Albertocapece

h_huntsmanAnna Lombroso per il Simplicissimus

Si era capito che l’istinto del tronista della politica è quello di piacere un po’ a tutti in modo che quelli cui dispiace si sentano marginali, esclusi dalla festa della II b, condannati alla panchina invece di giocare a calcetto.

Così per edulcorare quel suo affaccendato pragmatismo, ritratto proprio oggi dal Simplicissimus, che gli è avvalso tanto consenso perchè ha il marchio del dinamismo di chi pesta l’acqua nel mortaio, per creare un contrasto poetico e aereo,  nella segreteria di un partito passato dallo stato liquido a quello gassoso, il Renzi ha chiamato ad affiancarlo  un consigliere speciale che vanta come sue passioni insieme alla politica la Roma e i Radiohead, un economista civatiano che nel solco del suo riferimento e anche dell’Europa, colleziona bocciature non solo politiche, e qualche vanerella leggiadramente distratta. La Serracchiani ad esempio, che aveva rivendicato da europarlamentare di non volersi occupare di miserabili pochezze,   l’entità del suo stipendio, della diaria o degli altri benefits, e che con altrettanto signorile distacco non trova nulla di male nel viaggiare in aereo di Stato per presentarsi a Ballarò e facendosi rimborsare il rientro dalla Rai, che tanto paghiamo sempre noi, o come la Madia che non ha smentito la vezzosa confusione che regna nella sua delicata testolina bionda in materia di dicasteri e competenze ministeriali., in modo da non farci rimpiangere Gelmini, Prestigiacomo e altre sventatelle di lotta e di governo.

E se Veltroni aveva Colaninno e Calearo, a compensare le incantevoli sbadate  ci pensa la realpolitik  sbrigativa e scellerata del candidato Geko de noantri trapiantato nella City,, quel Serra aspirante squalo di Savile Row, la strada dei sarti, confezionato quindi su misura per usare forbici su diritti,  garanzie e valori del lavoro, quello vero, per arruffare e arraffare grazie a  quella creatività  immateriale e sregolata  come i giochi di prestigio dei bari. E che, intervistato da un ammaliato giornalista del Sole 24 ore nella sua qualità di ispiratore oltre che mecenate di Renzi, si confessa spregiudicato in affari più dello stesso Berlusconi, ma come lui generoso di pasti caldi ai poveri e oboli alle missioni, che la solidarietà ormai si è abilmente convertita in no profit da scaricare dalle tasse.

Sulle acrobazie affaristiche di Serra si sa già tutto, fondi e derivati che interpreta come laboratorio di uno scontro generazione sul terreno del  cinismo e della spregiudicatezza, di chi ha sublimato il ruolo della politica come gruccia per gli equilibrismi più arrischiati e spericolati sì, ma per gli investitori, che grazie alla protezione di quel sistema misto di affarismo e mal affarismo,  i nuovi tycoon della speculazione si salvano sempre.

E sappiamo ormai tutto sulla visione del futuro di Renzi: partiti che non devono rappresentare interessi dei cittadini, ma svolgere la funzione di allevamenti di galletti da governo, humus di risorse professionali al servizio del consolidamento di quella cupola, fatta di grandi patrimoni, di alti dirigenti del sistema finanziario, di politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, di tycoon dell’informazione, insomma di quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo e è cresciuta in paesi che si affacciano sullo scenario planetario grazie all’entità numerica e al patrimonio controllato e che rappresenta decine di trilioni di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi dei lavoratori, che vengono gestiti a totale discrezione dai dirigenti dei vari fondi, dalle compagnie di assicurazioni o altri organismi affini.

Ha dichiarato battaglia, ma come in una partita di biliardino al bar, alle ideologie interpretate come perigliosi e azzardati edifici di idee, pensieri, passioni, sensi comuni e responsabilità diffuse che legano in coesioni magari provvisorie ma potenti e che dividono in conflitti, comunque vivi, inquietanti e rischiosi rispetto al  pacato e governabile ordine dell’autoritarismo, della certa e rassicurante divisione in padroni e sfruttati, in chi comanda e chi deve ubbidire per assicurarsi a fatica perfino l’indispensabile.

È lui il perfetto volto prestato a un centrismo che voleva liberarsi frettolosamente perfino dell’etichetta impolverata , perfino della testimonianza letteraria di una sinistra di governo, della quale, al Lingotto, si era disfatto colui che aveva arrangiato una scatola vuota chiamandola Pd.

È lui che incarna esemplarmente gli obiettori della rappresentanza, del lavoro, della cittadinanza, della democrazia, quelli che si sono fatti festosamente persuadere della necessaria abiura di un’alternativa a sfruttamento e servitù, in favore del pragmatismo  senza speranza, senza futuro e senza passato, del realismo senza sguardo né corto né lungo, ripiegato in un presente mediocre e conformista.

L’Italia è il terzo Paese più “disuguale” d’Europa, le differenze tra chi può e non può sono immobili, rigide: si trasmettono di padre in figlio. E questo ceto si sente “chiamato” a perpetuarle, impoverendo gli aborriti pensionati,  abbattendo l’edificio di tutele e il sistema assistenziale,  incrementando quella precarietà che chiamano mobilità,  tagliando la spesa pubblica e puntando sulla privatizzazione e sulla svendita dei beni comuni, esaltando una meritocrazia secondo la quale chi nasce avendo si merita di continuare ad avere.

Ma noi ci meritiamo di disingannarli.


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