La parentesi non è possibile. La parentesi non è una buona idea. Prego? Sì, proprio così: l’idea che ciò che rappresenta il governo Monti per l’Italia sia solo una parentesi che una volta aperta e chiusa si potrà ritornare alle vecchie abitudini è un rimedio peggiore del male. L’incontro di ieri alla Camera tra Alfano, Bersani e Casini non sembra andare verso la “teoria della parentesi” bensì verso la consapevolezza che bisogna ormai “voltare pagina” e riformare non solo la società italiana, come sta facendo il governo Monti dopo circa venti anni di vacanza, ma anche la politica, e su questo fronte i “politici” intendono mantenere l’iniziativa. All’ordine del giorno c’è nientemeno che la Costituzione e, scendendo dall’empireo sulla terra, soprattutto la legge elettorale che sopraggiungerà, secondo il cammino immaginato dai tre uomini politici, dopo che le riforme istituzionali saranno state incardinate concretamente. Tutto, però, lascia pensare che questa volta si faccia sul serio e che il momento, come è stato già definito, sia “storico”. Vero? Vedremo. Quello che ora sappiamo è che nel vertice di ieri sono state stabilite alcune cose importanti: tempi e temi.
Entro due al massimo tre settimane si potrebbe giungere a un testo condiviso tra Pdl, Pd e Terzo polo sulle riforme costituzionali. Il testo prevede la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la sfiducia costruttiva, il potere di nomina e revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio, la riforma dell’articolo 117 della Costituzione. Molta carne a cuocere. E i tempi sono dunque rapidi, compatibilmente con la procedura di revisione costituzionale prevista dall’articolo 68 della Costituzione. Ecco l’iter immaginato e sottoscritto: entro due-tre settimane si presenterà alle commissioni parlamentari un testo condiviso, entro l’estate ci sarà la prima lettura, in autunno la seconda lettura e nell’inverno, forse già a dicembre, la terza e quarta lettura. Questo almeno nelle intenzioni di Pdl, Pd e Terzo polo. Quanto alla legge elettorale, nell’ipotesi elaborata dai tre leader ci sarebbe da avviare la riforma subito dopo la prima lettura delle riforme costituzionali. Da più parti, infatti, è stata sottolineata la necessità di avviare prima le riforme istituzionali e solo dopo la riforma del sistema elettorale nazionale.
Si spera che il metodo scelto per il lavoro di riforma sia saggio. Nei pensieri dei partiti la legge elettorale è sempre la prima cosa, ma nell’agenda dei lavoro, chissà perché, viene sempre per ultima. Invece, come faceva notare in questi casi Montanelli, sarebbe saggio discutere insieme le cose: istituzioni e sistema di voto. Ad ogni modo, vediamo il bicchiere mezzo pieno. Il ruolo del governo Monti è stato decisivo per giungere a questo punto di svolta. Non solo sul piano dei rapporti politici e diplomatici tra partiti che ieri erano tra loro opposti e oggi fanno parte di una medesima maggioranza, ma anche sul piano più ampio e generale, senz’altro più importante, su cui si colloca il governo guidato da Mario Monti sia in Italia sia in Europa e nel mondo.
Sul piano politico si è passati da un clima di contrapposizione e di guerra mentale permanente a una tregua che è diventata una forma attiva di collaborazione parlamentare. L’incontro di ieri, preparato da tempo, è il punto di arrivo di questa collaborazione e di un clima cambiato: un punto di arrivo e di partenza insieme. Inizia ora la fase più delicata e decisiva: non basta enunciare le riforme da fare, occorre anche farle concretamente. Sul piano sociale e internazionale si è passati dall’epoca del berlusconismo alla realtà delle cose che contano e pesano nelle aziende, nel commercio, nelle famiglie, nel sistema economico in generale. Si è passati dall’immagine alla serietà e il passaggio è stato percepito dagli italiani e dai partiti. In un primo tempo la “teoria della parentesi” – che pur rimane come forma mentis in molte tesate d’uovo della politica italiana - aveva preso il sopravvento. Poi ci hanno pensato i fatti a farsi strada da sé: i partiti ne hanno dovuto prendere atto. Ad un governo Monti che fa la sua parte e cambia, per quanto è nelle sue possibilità, le regole del gioco, deve corrispondere una politica capace di riformare se stessa per giungere al voto del 2013 con una democrazia rinnovata nelle sue forme base.
Se proviamo a girarci e guardiamo ciò che abbiamo dietro le nostre spalle – è un esercizio un po’ pericoloso ma ha anche i suoi indubbi pregi - ci apparirà un Paese che era sull’orlo di un precipizio, un Paese che era stato condotto fin lì proprio da un sistema politico bloccato la cui lotta era diventata sempre più un duello personale. Il disarmo reciproco e l’unità di intenti – rimedio altrimenti chiamato un po’ pomposamente unità nazionale - appariva come l’unica via di uscita da un disastro annunciato eppur negato. Oggi, forse, siamo a metà strada. La politica da una parte è stata sconfitta sul campo con il “governo tecnico” e dall’altra parte ha dimostrato di rinsavire facendo un “passo indietro”. Quel passo indietro può somigliare alla rincorsa che l’atleta fa per spiccare meglio il salto in avanti. Il salto in avanti può essere rappresentato dalla riforma della politica. Ieri c’è stato il primo passetto in avanti.
tratto da Liberal del 18 febbraio 2012