C’è da ridere delle acrobazie politiche di quest’uomo, un tempo di destra, oggi di nessun dove. Un tempo esempio fulgido di granitica sicurezza (il suo cespuglio avrebbe demolito il PDL e avrebbe creato una «nuova» destra) e oggi realtà concreta di sostanziale ectoplasmaticità politica.
Per Futuro e Libertà la coniugazione al passato è praticamente d’obbligo. Sono bastate due grosse martellate del Premier per ridimensionare il soggetto politico. Una prima fiducia a fine settembre e quella mitica del 14 dicembre. Da quel momento FLI – al secolo Futuro e Libertà – è letteralmente scomparso. C’è ancora uno zombie politico con quel nome, alleato del gigante UDC, ma è praticamente innocuo: quattro gatti che non impensieriscono nessuno. Certamente non il PDL.
E Fini lo sa. Talmente ne è consapevole che furbescamente ha deciso di togliere il proprio nome dal simbolo di FLI. Perché quando il generale subodora la sconfitta, mette le mani avanti. Questo ha fatto il Presidente della Camera per il quale le amministrative di maggio non contano.
Non contano per cosa? Ovviamente per la sconfitta. Quella che arriverà sonora e tosta per il neo-partito finiano, già in fase di rottamazione. Perché la sensazione è che Fini possa o potrebbe chiudere l’avventura di Futuro e Libertà. Non si sa se e quando, ma l’idea non è poi così peregrina. Troppe debacle, troppi addii, troppi fallimenti nascosti e sminuiti, per un partito che doveva diventare grande e importante, e che invece è rimasto piccolo. Anzi, si è rimpiciolito ancor di più, fino a ridursi a uno zerbino dell’UDC di Casini: il vero leader del Terzo Polo che pensa già a un papa straniero per la sua coalizione. Magari un Montezemolo o una Marcegaglia. Così scrivono i giornali.
Non certo Fini, il quale piuttosto si ritrova davanti al possibile fallimento in stile Elefantino. Quell’Elefantino che gli costò la sconfitta alle europee di una decina di anni fa, quando tradendo il Cavaliere per la prima volta, pensava di andare da solo, a braccetto con Segni.
Ma quelli erano altri tempi, anche se poi il politico non è affatto cambiato. È sempre uguale. Anzi, per certi versi è peggiorato sempre più, fino allo strappo con Berlusconi e alla creazione del microcespuglio, che al massimo vale una spilla sulla giacca, e non più il nome sul simbolo. Che se mai anziché avvantaggiare la lista o il partito, rischia di danneggiare l’immagine del capo, che lo si vuole sempre vincente, seppure sulla fiducia, più che sui numeri.
E qui peraltro sta l’abissale differenza con Berlusconi. Il Premier rischia sempre di suo quando lotta politicamente. Il Premier mette il suo nome anche quando si tratta delle comunali del più piccolo paese italiano. E non gli frega niente se poi rischia o meno la sconfitta. Ma Fini? Fini gioca come il peggiore dei democristiani: lui il nome non ce lo mette se subodora la debacle elettorale. Perché in tal caso, se FLI perde, perde FLI e non lui. Se FLI vince, lui vince a prescindere dal fatto che il suo nome ci sia o meno nel simbolo.
Ma del resto è Fini. Ormai abbiamo imparato a conoscerlo. E hanno imparato a conoscerlo anche coloro che in un primo tempo lo hanno «sposato» e che poi hanno capito e sono tornati indietro. Ci auguriamo che prima o poi lo capiscano anche gli altri. Solo allora, la destra italiana moderata sarà nuovamente unita, e non in nome di Casini, Montezemolo o chissà quale altro papa straniero…
Autore: Il Jester » Articoli 1379 | Commenti: 2235
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