disegno di Gipi (2010)
di Mariarosa Mancuso per Il Foglio
Come le famiglie felici di Lev Tolstoj,i futuri radiosi o utopici finiscono per somigliarsi e diventare stucchevoli. Il romanziere bravo – “con la scheggia di ghiaccio nel cuore”, copyright Graham Greene – li abbandona volentieri al loro destino. I futuri da incubo sono più interessanti, giacché in ognuno le cose vanno a catafascio in maniera diversa.Il mondo di “1984” – immaginato da George Orwell nell’anno 1948, anche volendo nel 2011 non ci sarebbe modo di ripetere il giochino delle cifre invertite – si divide tra Oceania, Eurasia e Estasia. In una Terza guerra mondiale sicuramente nucleare e per il resto appena accennata, gli Stati Uniti hanno conquistato la Gran Bretagna e l’Irlanda, mentre il resto dell’Europa sta sotto la Russia. Il temuto Grande Fratello orecchia, le parole d’ordine sono “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.
Nel “Mondo nuovo” di Aldous Huxley, dopo la guerra dei nove anni cominciata negli anni Quaranta – il romanzo uscì nel 1932 – gli umani divisi in caste sono riprodotti alla catena di montaggio, le parole padre o madre sono fuorilegge, e si fa grande uso di soma, la droga della felicità. Nel film “Metropolis” di Fritz Lang, i poveri se ne stanno sotto terra a far girare le macchine, e quando una ragazza bella e buona si occupa di loro viene subito sostituita con un robot. In “1997: fuga da New York” – girato nel 1981, i registi come John Carpenter son più svelti dei romanzieri, quanto a pensieri cupi – l’isola di Manhattan è diventata un carcere di massima sicurezza. Si entra a proprio rischio e pericolo, sfidando le varie tribù: i neoromantici con a capo il dandy Romeo, i neri che ornano le limousine con i lampadari. In “Brazil” di Terry Gilliam il mondo del futuro segue le logiche perverse della burocrazia.
James Ballard dedica quattro romanzi alla furia degli elementi – il più spaventoso è “Deserto d’acqua” – prima di concentrarsi sulle villette a schiera, le abitazioni in condominio protette dalle sbarre, i luoghi recintati per i turisti e gli scienziati, la rivolta dei benestanti che “non hanno da perdere che le loro Volvo station wagon”. Michael Chabon, nel romanzo “Il sindacato dei poliziotti yiddish” immagina che agli ebrei dopo la Seconda guerra mondiale sia stato offerto un pezzo di Alaska. La concessione valeva sessant’anni, ora è arrivato il momento di restituire la terra promessa. Nella “Svastica sul sole” di Philip Dick il nazismo ha vinto conquistando anche gli Stati Uniti, ormai ridotti a due grandi stati con le Montagne Rocciose che fungono da muro tra est e ovest.
Un romanzo distopico che fa iniziare la catastrofe proprio adesso – non genericamente la nostra epoca, ma proprio l’anno 2011 e i giorni compresi tra oggi e il prossimo due agosto, quando gli Stati Uniti decideranno se innalzare o no il tetto del debito pubblico – si legge con particolare brivido. Mica possiamo annoiarci spiegando un’altra volta che il Grande Fratello originale aveva i baffetti di Hitler o il faccione di Stalin. E che – reality show a parte, innocui perché chi si mette in mostra nell’acquario lo fa per sua scelta – il sogno di una società trasparente coincide con l’incubo di uno stato totalitario. Lo firma Dan Simmons, gigantesco scrittore di racconti horror (“Lovedeath”, “Il grande amante” per i lettori italiani) e di falsi dickensiani con fantasma (“Drood”, uscito da Eliot). In mezzo, tra decine di altri titoli che richiederebbero per smaltirli una villeggiatura d’altri tempi, l’atroce “Danza macabra”: vampiri della mente e una partita a scacchi con pedine umane giocata in un campo di concentramento, da cui probabilmente Paolo Maurensig per “La variante di Lüneburg” ha attinto qualcosina.
Uscito all’inizio di luglio con il titolo “Flashback” (Little, Brown and Company, 28 $, anche per Kindle), l’ultimo romanzo di Dan Simmons racconta uno spaventoso 2032: gli Stati Uniti contano soltanto 44 stati. La reconquista ispanica ha sottratto gran parte del sudovest, ormai rinominato “Nuevo Mexico” e infiammato dalle lotte tra cartelli della droga e gang affiliate ai più vari terrorismi internazionali. Le Hawai sono un Regno dominato da una regina purosangue che ha vietato l’ingresso ai turisti americani, l’Alaska è una Repubblica indipendente fondata sul petrolio, il Texas ha rispolverato la vecchia bandiera e gli abitanti hanno votato per farsi chiamare Texicans. Quel che rimane della superpotenza se la passa anche peggio: a Ground Zero sorge un’enorme moschea, l’11 settembre viene celebrato dagli islamici ormai in maggioranza numerica e culturale come festa grande.
Quel giorno ebbe inizio la resistenza contro l’imperialismo americano, prima tappa del nuovo ordine che mira al Nuovo Califfato Globale. Per l’occasione, le rare campane rimaste a Los Angeles accompagnano i canti dei muezzin, in segno tangibile di “solidarietà, comprensione, perdono”. La lettura del Corano è d’obbligo fin dall’asilo, Al Jazeera trasmette decapitazioni, lapidazioni e altre punizioni della sharia 24 ore su 24 (le guardano anche i non musulmani, traendone lo stesso svago di chi oggi perlustra Internet in cerca di disgrazie e incidenti spettacolari). Eurocaliffati anche nel Vecchio continente, che agli islamici ha aperto le porte e concesso deroghe legislative (la Grecia è sparita, per questioni demografiche e non di debito). Dall’altra parte del mondo, il Giappone ha una popolazione in età da pensionamento, e pensa alla Cina come a una grande riserva di forza lavoro. Una gigantesca Repubblica islamica si estende dal Libano al Sudan, come la spada di una scimitarra, e ha raso al suolo Israele con undici bombe atomiche. Altri sei milioni di ebrei uccisi nel secondo Olocausto (dal conto bisogna togliere le vittime palestinesi del fuoco amico) e un territorio radioattivo per secoli.
(continua su Il Foglio)