19 maggio 2014 • Festival di Cannes 2014, Speciale Festival di Cannes, Speciale Festival OAC, Vetrina Cinema
Dopo Capote e Moneyball – L’arte di vincere, il regista Bennett Miller firma un’altra pellicola tratta da una storia vera. In concorso al 67° Festival di Cannes, Foxcatcher si incentra sulla figura di John Du Pont, miliardario americano, componente della nota famiglia Du Pont, titolare dell’omonima e importantissima azienda chimica. Ornitologo, concologo, filatelista, appassionato di sport, come lui stesso amava definirsi, Du Pont ci ha lasciato quattro anni fa, mentre stava scontando in carcere la pena per l’uccisione dell’ex campione di lotta olimpica Dave Schultz. Il film porta sullo schermo le vicende che hanno preceduto questo omicidio, cercando di fare luce su una tragedia mai definitivamente motivata e spiegata.
All’inizio Foxcatcher ha le sembianze di uno sport-movie, ma gradualmente diventa un disperato dramma in cui l’elemento sportivo è esclusivamente funzionale all’evoluzione emotiva e psicologica dei personaggi. Con il suo consueto stile, mai retorico né manieristico, apparentemente freddo e distaccato, Miller scruta nelle dinamiche umane che si instaurano tra i tre protagonisti.
Channing Tatum, Bennett Miller, Steve Carell and Mark Ruffalo – Photocall – Foxcatcher © FDC / K. Vygrivach
Parte da Mark Schultz, anche lui campione del wrestling, e dal suo rapporto con il fratello Dave; poi si sposta su Du Pont, entrando nella sua “dimora”, nel suo stile di vita, nella sua latente omosessualità, nella sua complessa, per non dire malata, relazione con la madre; ed infine mette insieme le tre figure, creando un triangolo di ossessioni, di paure, di incertezze, di sentimenti mai espressi, di cadute fragorose, di prese di coscienza dolorose.
Con un climax coinvolgente, Miller ci introduce in un vortice di tentazioni, studiando come l’animo umano possa essere sopraffatto dal potere e possa rimanere incastrato nell’ansia di successo, di benessere, di ricchezza. A differenza di un film come Moneyball, in cui la parola era mezzo necessario al fine di una narrazione chiara e non ellittica, qui l’autore decide di prediligere i silenzi, la fisicità, gli sguardi. E’ attraverso le espressioni del viso, i movimenti del corpo, gli occhi pieni di lacrime o persi nel vuoto che lo spettatore riesce a comprendere i sentimenti e le emozioni dei personaggi. E il merito di questo risultato lo si deve ovviamente anche agli interpreti. C’è un Mark Ruffalo che gioca di sottrazione e che in questo modo sa infondere di naturalezza il suo Dave; troviamo un Channing Tatum sorprendente nel ruolo di Mark, capace di improvvisi cambi di tono ed imprevedibili sfumature; ma soprattutto uno Steve Carell monumentale nella parte di John du Pont. Aiutato senza dubbio da un trucco che ne stravolge l’aspetto, il comico americano sparisce completamente dietro il suo personaggio, illuminando lo schermo per profondità e verità. Non sappiamo se riceverà un premio qui a Cannes, ma possiamo già prevedere per lui una nomination ai prossimi premi Oscar.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net
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