di Beniamino Franceschini
da FANPAGE, 14 marzo 2013
Papa Francesco si è presentato in modo umile e diretto, con le preghiere più semplici della Cristianità. Davanti a lui le sfide sono molte e dure: occorrerà un cambiamento radicale della Chiesa e dei cattolici. E il contributo di Benedetto XVI sarà ancora fondamentale.
Fino al tardo pomeriggio di ieri, il protagonista del Conclave era un gabbiano placidamente posato sul comignolo della Cappella sistina. Improvvisamente, poi, il fumo bianco ha carezzato il cielo di Roma e, dopo una fremente attesa, il mondo ha conosciuto il nuovo Papa della Chiesa cattolica: la figura del Pontefice è apparsa in modo silenzioso, leggero, mentre in piazza San Pietro era sceso un gelo profondo nel quale la delusione – soprattutto di italiani e brasiliani – era frammista alla reale incapacità di molti di comprendere chi fosse quel cardinale Bergoglio. Sul momento, l’immagine è stata cinematografica, anzi, teatrale: il Papa, con le luci addosso, ma circondato dal buio della sera, rimaneva fermo, la fisicità statuaria che sembrava una posa drammatica, come il Cirillo di Anthony Quinn o la riproposizione di un Pontefice rinascimentale, il volto sottile così simile a quello di Giovanni Paolo I. E poi il nome, Francesco, che ha colto tutti di sorpresa, rappresentando di per sé già un messaggio programmatico, una volontà di riportare la Chiesa alla dimensione della realtà quotidiana, alla condizione di coloro per i quali senza un aiuto il destino sarebbe solo la povertà di spirito: un ritorno al messaggio di San Francesco d’Assisi, l’uomo che ebbe il coraggio di guardare il papato medievale negli occhi mantenendo le spalle sollevate e le mani tese verso gli ultimi, non esitando a parlare col lupo e a varcare il mare verso le terre del Saladino. E Bergoglio conosce bene le Chiese d’Oriente, sia teologicamente, sia politicamente, conscio anche delle sofferenze che i cristiani, soprattutto in Asia (non dimentichiamoci, però, dell’Africa) stanno vivendo.
Papa Francesco ha dissipato quella nebbia calata su piazza San Pietro con il sistema più semplice che ognuno di noi conosca, ossia un saluto immediato, spontaneo: «Buonasera», e l’ecumenismo tanto esaltato fino a un’ora prima, ma interrotto negli ultimi minuti, è tornato dirompente. Quindi poche parole dense di significato, a partire dalle preghiere dedicate a Benedetto XVI e recitate con la comunità dei fedeli, un gesto semplice, universale, diretto, che magari a qualcuno è parso insolito, ma che, in realtà, è l’atto di fede primario di ogni credente di qualsiasi religione, nonostante spesso la diatriba sia più allettante del bisbiglio di un rosario. Francesco ha citato in modo rapido un santo della prima cristianità, Ignazio d’Antiochia, ricordando il ruolo della Chiesa e della diocesi di Roma, nonché la priorità di ricominciare la nuova evangelizzazione proprio dall’Urbe. Infine, prima dell’indulgenza plenaria, un altro atto emblematico e teologicamente raffinato: il Papa si è rimesso al «popolo», affinché esso lo accettasse come Vescovo di Roma e pregasse perché Dio lo benedicesse. È un passaggio in teoria facile da comprendere se ci si ferma all’aspetto più manifesto. Tuttavia, il Pontefice non ha chiesto direttamente la benedizione dei fedeli, bensì il riconoscimento del proprio ruolo e l’opera della comunità in suo favore di fronte a Dio. Francesco avrebbe potuto “in modo demagogico” domandare al popolo la benedizione, però non è l’uomo a benedire: è Dio, in quanto Origine e Riferimento.
Nell’arco di pochi minuti sono cominciate a spuntare informazioni sulla presunta connivenza tra Bergoglio e la dittatura militare argentina (1976-1983), soprattutto nel periodo di Videla: il futuro Pontefice avrebbe favorito la sparizione di due sacerdoti, alla quale, secondo altre versioni, dovrebbe anche aggiungersi quella di alcuni bambini. Su questo, sinceramente, non posso esprimermi, non so che dire, poiché per cominciare ad avere un’idea avrei bisogno di qualcosa di più rispetto a un articolo del 2006 e a una serie di commenti sui social network, soprattutto se animati dal solo odio anticlericale o scritti da chi sostiene che Videla fosse il nome della moglie di Perón, quella «del film di Madonna» (citazione da un dialogo). Prima di esprimere un parere ho bisogno di leggere almeno il libro spesso citato in merito all’argomento, ossia L’isola del silenzio, di Horacio Verbitsky. Senz’altro sconto una grave carenza d’informazione, quindi mi fermo, sospendo il giudizio e mi riprometto di indagare, pur continuando a non apprezzare i toni di chi scarica la rabbia su un uomo che fino a poche ore fa non aveva mai sentito nominare. In fondo, anche la cieca e acritica ideologia politica non è dissimile dalla religione: si crede, si ha fede, si difende nelle difficoltà.
C’è poi la questione della contrarietà di Bergoglio ai matrimoni omosessuali, ma, in questo caso, credo occorra un po’ di realismo: difficilmente ci sarà un capo della Chiesa cattolica a favore di un seppur necessario e improrogabile allargamento in tal senso dei diritti civili. Anzi, sarà pressoché impossibile trovare la guida di una grande religione su posizioni estremamente aperte. Ciò, però, non è né una scusa per i legislatori, né un ostacolo, perché la laicità, che è uno dei motori dello Stato di Diritto contemporaneo, consiste proprio nel rispettare, difendere e ascoltare ogni posizione, trovando poi una sintesi che proceda oltre la faziosità, verso l’interesse generale, lasciando intonsa la sfera privata dei cittadini e tutelando la libertà di ogni individuo a scegliere o no un’opzione, sia essa il matrimonio omosessuale, la fecondazione assistita, il testamento biologico e l’eutanasia, il trapianto d’organi o anche soltanto l’accesso ai corsi di studio. Prima di porre ostacoli, diamo ai cittadini gli strumenti per essere liberi, indipendenti, consapevoli e tolleranti, quindi cediamo il passo alla coscienza.
Nei primi momenti di Francesco ho colto una grande umiltà, una semplicità spontanea, nonché una consapevolezza del proprio incarico caratterizzata da una profonda e umana paura, dal bisogno di essere davvero accettato dalla comunità dei fedeli. Piuttosto che un Papa, Francesco è parso un parroco in una terra lontana, come l’Argentina alla quale il Pontefice si è riferito indicando la propria provenienza (l’eco è di Giovanni Paolo II). Le poche parole e i pochi gesti di Francesco mi hanno emozionato – ho sentito una grande forza in lui – e hanno contribuito ad accendere, forse in modo del tutto irrazionale, una scintilla di speranza, che potrebbe trasformarsi in fiamma. L’Italia ha bisogno di un sostegno per guardare avanti: per quanto si voglia dire, nel bene e nel male, il Papa resta per il nostro Paese un punto di riferimento storico, politico e morale sia per chi si ispiri a lui, sia per chi lo ritenga degno destinatario di strali. Vedremo Francesco all’opera: scandali, episodi criminali, pedofilia, IOR e difesa dei cristiani perseguitati sono solo alcune delle battaglie che il nuovo Pontefice dovrà affrontare, avendo dinanzi gli esempi dei suoi grandi omonimi, il Poverello d’Assisi e il grande missionario gesuita. Il tutto con la vicenda di Benedetto XVI sullo sfondo, ossia l’atto che ha stravolto e ancora stravolgerà la storia della Chiesa intrapreso da colui che oggi è forse il maggior intellettuale europeo vivente – e che forse capiremo e ameremo davvero soltanto tra qualche anno, quando il Tevere avrà eroso un altro po’ i ponti di Roma.Ieri sera mi sono sentito trasportato in modo straordinario e immediato accanto a quell’uomo dalla postura rigida e un po’ imbarazzata, con gli occhi rivolti verso il basso che esprimevano la consapevolezza del peso della Storia e dell’Autorità. La speranza è che Papa Bergoglio, argentino di origini italiane – un compromesso tra i cardinali “italiani” di Scola e quelli “brasiliani” di Scherer? – riesca davvero a condurre in Vaticano la forza di San Francesco d’Assisi e lo spirito di San Francesco Saverio: «Non crediate, – dice Gesù, – che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada», parole che sembrano contraddittorie col messaggio evangelico, ma che in realtà indicano la necessità di un mutamento completo e radicale degli uomini. Una trasformazione della quale la Chiesa ha fortemente bisogno per aprirsi realmente al mondo, non disperdere il proprio percorso millenario e ricostruire la propria vocazione spirituale, il cui capovolgimento in favore del potere assoluto ha condotto Benedetto XVI all’abdicazione. Certo, questi auspici forse sono un po’ banali e troppo alti, però è lecito sperare. Sono fiducioso nell’opera di Francesco, che avrà dalla sua, oltre che Joseph Ratzinger – giacché sarà difficile per la Chiesa fare a meno del suo poderoso intelletto – l’immagine di uomini maestosi, ancor prima che santi, e l’affetto che i cattolici già nutrono nei suoi confronti.
Beniamino Franceschini
La versione originale dell’articolo può essere letta qui: Francesco, Benedetto XVI e la spada di Cristo.