Anna Lombroso per il Simplicissimus
Pare che uno dei tagli più efficaci e riusciti tra quelli operati dal governo sia quello applicato alla critica. Poche voci si sottraggono al coro di consensi, all’entusiasmo dei fan della sobrietà e dell’austerità e del suffragio alla proterva sopraffazione dei deboli e alla remissività coi forti. Che come succede, possono essere poteri occulti e criminali, nei cui confronti i divini schizzinosi si mostrano, più che sdegnosi, dimissionari a priori, dicendo di no alle olimpiadi, tanto per fare un esempio, in previsione dall’impotenza a combattere corruzione, malaffare, inefficienza, patologie endemiche degli italiani riottosi ad essere educati. E invece prepotente coi deboli, spingendo la severità fino all’iniquità, il rifiuto della solidarietà fino all’arbitrarietà ragionieristica. Le pensioni, soprattutto quelle delle donne diventano un “contentino”: l’occhiuta ministra virilmente rimuove il particolare che si tratta di contributi versati dalle lavoratrici; la scure si abbatte su quelle di invalidità, perché, come per le liberalizzazioni, l’approccio efficientista dei tecnici si riduce a sanare qualche illegalità con poderose e indifferenziate moderne ingiustizie, i diritti conquistati non hanno riconoscimento, ridotti a privilegi soggetti a un regime di indulgenti e parziali
elargizioni.
E se ritardiamo di pagare le tasse, Equitalia ci mette alla calcagna i suoi scagnozzi. Ma pare sia invece legittimo e comprensibile che i ministri ci centellinino e somministrino avaramente le informazioni sui loro adempimenti fiscali, perché, si sottintende, mica saremo uguali.. né noi né i nostri figli e nemmeno i nostri appartamenti al Colosseo, per non parlare degli interessi: i nostri perennemente in conflitto con la sopravvivenza e i loro pacifici, congrui, legittimi, trasparenti. Che poi saranno i fatti a parlare e se accondiscendono a darci conto di qualcosa, con tutto comodo per carità, dobbiamo essere grati per la loro magnanima, benevola disponibilità.
Escono da scuole e dinastie che li esimono da certi obblighi riservati alla plebe, li rendono impermeabili alla fastidiosa dipendenza dal consenso, li esonerano dalla costrizione del bisogno.
Ma se i partiti hanno scelto di dare loro potere e responsabilità vicaria della politica, noi dovremmo riprenderci doveri e diritti della democrazia invece di applaudire affacciati al davanzale della vita la rabbia di piazza Syntagma.
La democrazia è «un cavallo nobile ma indolente», lo sapeva già Socrate, per tenerla sveglia occorre un pensiero vigile. Ciò significa che i cittadini devono coltivare la capacità per la quale Socrate diede la vita: quella di criticare la tradizione e l´autorità, di continuare ad analizzare se stessi e gli altri, di non accettare discorsi o proposte senza averli sottoposti al vaglio del proprio ragionamento.
Ed è anche una fatica, va fatta una costante e solerte manutenzione, perché ci costringe ad anteporre l’interesse generale a quello personale e si indulge a un disincantato distacco che favorisce la delega, la rimozione delle responsabilità dirette, l’astensione dal partecipare: la gente ha la preoccupante tendenza a sottomettersi all´autorità e alle pressioni sociali.
Forse gli ateniesi di oggi hanno fatto tesoro delle parole di Socrate che esortava gli ateniesi a non «vivere una vita senza indagine», coltivando la conoscenza e la critica per coltivare la democrazia e non permettendo che l’invettiva sostituisca il dialogo e il silenzio la discussione.
Con buona pace di Celentano, bisognerebbe indirizzare il malmostoso brontolio per sollevarsi dal giogo imposto dall’ideologia e dalla logica della necessità, senza più limiti nei contrappesi, che genera questo mondo totalizzante delle cose, che impone il primato del realismo rinunciatario e che restringe la politica al livello della pura amministrazione.
Un governo che conferma le aberrazioni della Gelmini sollecita i ragazzi a disfarsi dei pregiudizi umanistici. Meglio, in nome del pragmatismo, scuole professionali, possibilmente private, in fondo Radio Elettra sforna statisti, meglio non seguire vocazioni, istinti, inclinazioni, ma programmare saggiamente un futuro organizzato di merci disponibili sul mercato del lavoro di una società senza lavoro. E senza diritti, nemmeno quello alla conoscenza, neppure quello alla critica, meno che mai quello alla partecipazione e soprattutto quello alla visione del futuro, cui si è sostituita la distopia, l’utopia negativa: Franza o Alemagna purchè se magna.