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Quanti hanno commesso dei reati devono scontare una pena. Ciò non toglie che debbano continuare a vivere in condizioni dignitose, non stipati in celle adatte alla metà del numero di persone che ospitano. Stipati come animali, diremmo. Senonché, per una curiosa inversione, ora sono piuttosto gli animali ad essere stipati in spazi angusti e maltrattati come persone. Perché il primo termine di riferimento, in casi simili, sono proprio gli altri mammiferi.L'impressione, per essere più chiari, è che per noi sia diventato più facile accettare che degli altri esseri umani versino in condizioni inumane piuttosto che lo stesso capiti agli animali. I piccoli beagle suscitano una simpatia e una tenerezza immediate in chiunque abbia un minimo di quella cosa poc'anzi citata che inizia per "c". Nessuno può immaginare che vengano fatti oggetto di sofferenze indicibili.Molto più difficile è impietosirsi per qualcuno che ha commesso dei reati, e che non è dunque, come i poveri cuccioli, l'immagine stessa dell'innocenza. Per loro, come per lo sventurato Michè, non c'è alcuna pietà.Non serve arrivare agli eccessi di una Susanna Tamaro, che senza problemi paragona i tacchini nei camion agli ebrei nei carri bestiame della Shoah - dove il problema è aver smarrito quale sia dopotutto la differenza. Né all'assoluta mancanza di pudore, spacciata per senso di umanità, con cui certuni ammorbano i social network di immagini scioccanti di animali scuoiati e urlanti. D'altro canto, il punto non è essere dei barbari maltrattatori di animali pur di difendere gli umani.No, è proprio la mancanza di progressività nella nostra sensibilità, prima ancora che nel riconoscimento di diritti, che fa problema. Quasi che, riempiti del senso di partecipazione per i cuccioli di Green Hill, ogni altra pena non trovasse in noi più alcuno spazio vuoto.Il punto, forse, è capire perché alcuni dolori ci sono più fraterni di altri.da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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