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Il problema (con l’eventuale rischio deja-vu o persino plagio) si verifica se dietro richiami immaginifico-visionari si scopra il nulla, in altre parole la totale mancanza di idee originali: l’horror del giovane Gens è proprio questo.
"Approfittando delle rivolte delle banlieus parigine, un gruppo di giovani rapinatori tenta una rapina in banca al fine di raccogliere i soldi necessari per aiutare una ragazza loro amica in difficoltà. Il colpo però va malissimo ed i rapinatori sono costretti alla fuga e a dividersi. Alcuni di loro trovano rifugio in una locanda scalcinata e isolata nei pressi della frontiera con il Lussemburgo, di proprietà di alcuni bifolchi locali. Le cose si metteranno assai male quando i rapinatori si accorgeranno che i proprietari del loro rifugio sono assai più pericolosi dei poliziotti che gli danno la caccia: si tratta infatti di una famiglia di agguerriti neonazisti con una spiccata propensione per la tortura e il cannibalismo…" (Comingsoon.it)
Si inizia con le finte riprese televisive delle rivolte nelle periferie francesi (con un occhio all’incipit de L’alba dei morti viventi di Snyder), tutto fotografato come un film di Rob Zombie, per introdurci ad una situazione stile Le Iene che diverrà l’anticamera di un nuovo Non aprite quella porta con influenze di Hostel parte I e II. In (poca) sostanza, un disastro di intenti e risultati. Un prodotto farcito di presunti dialoghi adrenalinici e vessato da una recitazione imbarazzante, che tocca pericolose vette di comicità involontaria nei vagheggiamenti del vecchio ufficiale nazista (Jean-Pierre Jorris) e nella performance esagitata dell’attrice protagonista Karina Testa.
La regia conosce azzeccate soluzione visive nei momenti più splatter, che certamente non salvano il film da una noia sfiancante che fa apparire i 108′ pressoché infiniti. Ci si augura solo che il cinema d’oltralpe conosca in Frontiere(s) solo una perdonabile eccezione, non un modello filmico su cui far rinascere un genere tanto popolare.
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