“Fuck death, live 4ever”. Amy Winehouse si spegne a 27 anni. Lettera da Camden.

Creato il 31 luglio 2011 da Subarralliccu @subarralliccu

Egregio Sancio Menestrello d’Isole,

Billy e’ arrivato ciondolante nello lo spiazzo sterrato che si apre davanti al 30 di Camden Square, nella mano sinistra una lattina spiegazzata di Kronemburg bollente, nella destra due paia di tacchi a spillo, uno rosa ed uno verde. Un gentile omaggio da parte di Amy Winehouse, spentasi ieri fra le mura di una biancheggiante villa a due piani nella quieta periferia di Camden, dove la trasgressione e’ una noia raggiungibile con due schioppi di bus. O con una breve camminata. Tempo due sigarette.

 Una donna s’avvicina a Billy, palesemente incapace di raggiungere il piccolo cumulo di fiori e memorabilia lasciati dai fan fin dalle prime ore della notte, circondato da un nastro oltre il quale un plotone di fotografi fa colazione con caffe’ e donuts. Il giornalista messicano cerca di mandare a memoria il cappello, senza troppa fortuna. La collega brasiliana prova e riprova un piano sequenza dove a balzi di pantera spiega che la polizia e’ arrivata sul posto intorno alle 4 del pomeriggio di ieri, per trovare il corpo di una smilzetta tatuata di 27 anni, stroncata da chissa’ quale miscela di alchool e stupefacenti. I colleghi inglesi se la ridono, divertiti dalle note musicali del portoghese da soap opera. E le guardano il culo. Con gran classe, devo ammettere. Ma Billy Ochola ha rubato la scena:

 “Mi ha lasciato le scarpe come regalo quando si e’ trasferita qui. Prima eravamo vicini di casa, qualche strada piu’ in la’. Lei parlava con tutti. Una brava ragazza. Fottuta, come me. Ma una brava ragazza. Sai, figlia di un tassista. Era una di noi. Una cockney. Non le fregava mica un cazzo. Se non le piacevi ti mandava a fare in culo e basta. Ha cambiato la musica e se l’e’ filata. E basta. Questo e tutto cio’ che dovete sapere. Troppo sensibile cumpa’, troppo sensibile.”

 Qualcuno mi tocca la spalla mentre scatto qualche colpo al piccolo altare d’asfalto dove si sono accalcati fiori, bottiglie di vodka, sigarette, poesie, chitarre, cartine rizla:

 “Scusa potresti poggiare questi, per favore?!”

 Tommy mi passa un mazzo di rose rosse oltre il nastro. Il piccolo John tace in rispettoso silenzio accanto al padre.

 “Abbiamo perso una grande voce, una grande artista- afferma Tommy.

“La sua spontaneita’ aveva trovato forma in uno stile musicale personalissimo, una nuova carica nel pantano del pop odierno. Andava protetta. Tutti sapevano che tipo di vita portasse avanti. Ricordo che in una intervista il padre Mitch aveva pregato gli spacciatori di Camden di lasciarla in pace. Ma sai, non puoi davvero fermare una persona che desidera…che desidera drogarsi. Questo e’ un giorno molto triste per la musica.”

 All’altare si susseguono i volti piu’ disparati. Due bimbette con gli occhi affilati dal make up, posano dei fiori ed uno scarabocchio di messaggio. Due coetanei cincischiano con l’accendino nel tentativo di accendere delle candele. Due montagne hip hop di muscoli neri incastrano una lettera fra le corde di una vecchia chitarra. Un azzimato gentiluomo adagia un enorme mazzo di fiori, per poi allontanarsi, inosservato. Una signoraccia da pub, 60 anni tutti nelle grinze degli avambracci tatuati, lascia scivolare una lacrima dagli occhiali da sole mentre poggia un vaso di girasoli.

 Ma e’ Mark, 16 anni dal sud di Londra, a richiamare l’attenzione della folla.

Il pivello e’ uno schema d’ossa sorretto da solide All Star, fasciato da asfissianti blue jeans e ricoperto da una abbondante maglia raffigurante la povera Amy. La bocca cerchiata dal rossetto e’ sormontata da un pudore di baffi adolescenziali. Un bocciolo di rosa gli regge “l’alveare” di capelli costruito sul capo. La sua anima metropolitana ha guarito la propria ambiguita’ con la disperata leggerezza delle canzoni della Winehouse.

L’apparecchio sull’arcata inferiore lo fa gorgogliare durante le interviste. Trattiene l’esondazione piluccando rapidi tiri di sigaretta.

 “Ho tenuto tutto di lei, in camera mia. I biglietti dei concerti, i poster, i libri. E’ stata fondamentale nella mia vita. “Back in black” mi ha aiutato a superare le difficolta’ della mia relazione sentimentale. E’ stata uno dei grandi, sai. Ha preso il jazz e lo ha trasformato in qualcosa di nuovo, se capisci cosa voglio dire. E adesso, e adesso non c’e’ piu’…”

 Mark scoppia in lacrime e la mitraglia degli scatti arriva impietosa.

Sui muriccioli, intorno, i giornalisti scrivono i pezzi sui laptop e estorcono interviste fritte e rifritte. I turisti fanno merenda. Qualche grugno affranto s’inchioda al fumo delle sigarette. Billy importuna le belle al passaggio mentre si slancia in una apologia dell’essere ebrei. Come Amy. Una vecchia attraversa lo spiazzo, gravata dalle buste della spesa: “Importunare quella piccola, povera cosa, anche da morta…e sconvolgente!Disgustoso!Vergognatevi tutti!”, sbraita mentre si fa largo fra la folla.

 Sul viale che conduce alla stazione di Camden ritrovo Mark, accopagnato dalla sua amica lolita in versione punk: “Che coglioni i giornalisti. Continuare con quelle domande. Non hanno veramente pudore, non hanno veramente limite. Stronzi.”

 Il mito ha infine rilasciato l’intera sua eredita’, insinuando nella carne morbida delle giovani generazioni il disappunto verso la realta’ ed il suo superamento nell’arte, la gloria e la disillusione che ne conseguono, lo stupore che permette a “back to black” d’essere molto piu’ che un ritornello per fanciulle tristi: il destino breve di chi avvampa.


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