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Fumi di Vado Ligure, il Black Power di De Benedetti

Creato il 12 marzo 2014 da Albertocapece

115149190-2eb8c38e-b550-4d1d-a6d4-27fa1ea1fd65Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non so se il sindaco Marino che pensa di governare Roma come fosse una sala operatoria, sia specializzato in terapia d’urgenza. Non si direbbe visto che l’Asl aveva trasmesso al comune già nel dicembre scorso i dati sulla presenza di sostanze tossiche nell’acqua erogata in alcuni quartieri.

E chissà se l’impetuoso Renzi, quello di una riforma al mese, quello del Fare, imprimerà una benefica accelerazione  anche nel fronteggiare e risolvere emergenze a lungo nutrite, allevate con cura, tollerate o blandite, perché nel migliore dei casi figlie dell’indifferenza, nel peggiore e più diffuso, madri di molti profittevoli business. O almeno nel conoscerle, perché come per l’allegorico caso della Costa Concordia, in Italia ci si mette un bel po’ anche a vedere uno scoglio, anzi bisogna proprio andarci contro per sapere che c’è, sia pure segnato su ogni carta nautica.

Pensate quanti morti, quanti veleni sono trascorsi e scorsi prima che scoppiasse il bubbone dell’Ilva, o si sapesse che la Campania Felix era diventata una geografia letale. E ci sono voluti i licheni ancora prima dell’incidenza dei casi di tumori accertati per scoprire che c’era un’altra Ilva a Savona,  dove, secondo la procura, i fumi della centrale della Tirreno Power hanno causato 442 morti  tra il 2000 e il 2007. Per il procuratore Granero la centrale avrebbe causato anche “tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini sarebbero stati ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d’asma tra il 2005 e il 2012″.  Sull’attività di Tirreno Power – nella cui proprietà è presente anche il Gruppo Sorgenia di De Benedetti- sono aperti due filoni d’inchiesta, una per disastro ambientale e una per omicidio colposo. L’ordinanza con cui il gip ha disposto il sequestro della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure parla di nesso di causalità tra le emissioni, le morti e le patologie. La prova del disastro ambientale doloso con conseguenza sulla salute dei cittadini starebbe nella rarefazione dei licheni e nell’aumento delle malattie.
L’ordinanza di sequestro è motivata dalla constatazione che gli impianti sono sempre stati usati al massimo, senza prendere i dovuti accorgimenti contro le emissioni, nonostante la vetustà dei gruppi. Sempre secondo il giudice  negli anni la società aveva  manifestato l’intenzione di mettersi in regola, ma gli interventi occasionali sarebbero stati usati “come specchietti per attirare le allodole”, polvere negli occhi per eludere controlli e non investire in sicurezza e compatibilità ambientale.

 Ogni giorno siamo costretti  a chiederci quante Ilva ci siano in Italia, quante Tirreno Power, le cui prestazioni criminose sono rimosse pudicamente da stampa di famiglia o diversamente amica o comunque indirettamente correa, che sempre di editoria dinastica  proprietaria si tratta. E se si solleva una voce di protesta, da parte del popolo inquinato, o delle associazioni ambientaliste, o di medici attenti alla salute pubblica, e se vengono chieste modificazioni dei processi produttivi, filtrazione degli agenti inquinanti e tossici e cancerogeni, la risposta degli imprenditori inquinatori è sempre la stessa, che tali modificazioni comporterebbero maggiori costi e la fabbrica sarebbe costretta a chiudere. Davanti al pericolo della perdita del posto di lavoro si forma una innaturale alleanza fra lavoratori inquinati e imprenditori inquinatori.  Ma i lavoratori sotto ricatto sono anche cittadini che vivono una tremenda scissione, condannati a una condizione di “classe separata e particolare”, costretta in virtù della sua legittima e fisiologica difesa del lavoro,   a collocarsi a difesa della continuità produttiva e dunque dell’interesse padronale, ponendosi contro le ragioni dell’ambiente e quindi contro l’interesse generale,  contro quello degli altri cittadini che operai non sono, contro la salute della gente e del territorio, che riguarderà anche la vita delle prossime generazioni.

Di questo non finiremo mai di denunciare l’infedeltà di quelle organizzazioni, partiti e sindacati, che hanno tradito il loro mandato, che hanno lasciato soli i lavoratori, isolandone le ragioni, abbandonandoli al ricatto. Ed anche la slealtà nei confronti delle regole e dei principi democratici, mettendo in contrasto due diritti fondamentali come quello al lavoro e quello alla salute, che non solo non sono in contrapposizione, anzi,  sono ineliminabili come ci spiega la Costituzione a partire dalle sue prime righe, che riaffermano che il lavoro, radice della Repubblica, deve possedere i requisiti per rispettare la dignità di chi lo esegue, dunque la sua sicurezza, il rispetto della vita e dell’ambiente, senza gerarchie e in modo che sia l’insieme dei diritti fondamentali ad essere  reintegrato.

E dire che perfino l’Europa, sorprendentemente, ce lo chiederebbe: una sentenza della Corte europea  definisce illegittima l’attività economica che contrasta con la dignità delle persone, intesa come insieme di garanzie, prerogative e tutele, proprio come intende la nostra Carta, e come dovrebbe suggerire il buonsenso che sa bene che quando si determina una situazione di  ingiustizia,  invece di risparmiare si è costretti a spendere ancora di più; che intervenire in ritardo e dopo scelte politiche sbagliate aggrava sia i costi sociali, che  diventano drammatici, sia i costi economici. Ma è inevitabile: il Bel Paese si è convertito in una palude di veleni che hanno intossicato ragione e ragioni.

 


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