Mentre scrivo, in piazza San Pietro si tiene la grande sceneggiata della canonizzazione di due papi morti, concelebrata da due papi vivi. La folla accorre in massa per presenziare alla versione moderna dell’apoteosi che, nella stessa città di Roma, veniva riservata agli imperatori deceduti: al grido di “santo subito”, esattamente come avvenne alla morte di Giovanni Paolo II, quando gli ignari fedeli chiesero a gran voce per il papa ciò che gli altrettanto ignari sudditi chiedevano un paio di millenni prima per il sovrano.
La fastosa e oceanica cerimonia è officiata dal Grande Sceneggiatore, il papa che ha preso il nome di san Francesco. Il papa che a ogni occasione ricorda che vorrebbe una chiesa povera e umile, senza trovare nessuna contraddizione con lo sfarzo e la solennità dell’odierno spettacolo, trasmesso in mondovisione e in tridimensionalità. Il papa che la gente proclamerebbe santo già ora da vivo, e che qualcuno dei co-officianti di oggi si affretterà a proclamare santo appena morto, all’insegna del motto “oggi a te, domani a me”.
I nostri media rintontiti rimbombano l’agiografia dei nuovi santi, senza alcun apparente imbarazzo o pudore. Per trovare un barlume di lucidità e onestà bisogna varcare l’oceano e approdare in Nord America, dove il New York Times ci ricorda di ricordare che Giovanni Paolo II ha convissuto per tutto il suo lungo pontificato con la pedofilia ecclesiastica, coprendola fino ai massimi livelli: quelli dei pervertiti padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, e del cardinal Bernard Law, arcivescovo di Boston.
In Sud America si ricorda invece l’ignobile piazzata che Giovanni Paolo II fece a padre Ernesto Cardenal all’aeroporto di Managua, nel 1983, per non essersi dimesso da ministro della Cultura del governo sandinista. Collaborare con un governo rivoluzionario di sinistra era antievangelico, per il papa polacco che non trovava invece niente da ridire sul fatto che il cardinal Pio Laghi giocasse a tennis con il dittatore argentino di destra Jorge Videla. E nemmeno sul fatto di visitare lui stesso il dittatore cileno di destra Augusto Pinochet, facendosi fotografare sorridente con lui al balcone del palazzo presidenziale.
Questo è l’uomo che papa Francesco porta oggi solennemente ad esempio ai fedeli. Un uomo che, secondo le mediorientali e medievali favole ecclesiastiche, avrebbe compiuto miracoli: come tutte le altre migliaia di “beati” e “santi” che gli ultimi tre papi hanno sfornato, e continuano a sfornare, a getto continuo.
I fedeli e i media rimangono a bocca aperta di fronte a questa taumaturgia generalizzata e diffusa. Anche se poi rimangono a bocca chiusa quando, con macabra ironia, il caso sbeffeggia i due neo santi facendo crollare una croce di Cristo dedicata a Giovanni Paolo II su un povero disabile, che abitava in via Giovanni XXIII ed era andato in pellegrinaggio in vista della canonizzazione di oggi, uccidendolo.
Ma si sa che così succede anche con le malattie, per i cattolici: se guariscono, è merito di qualche santo o di qualche madonna, e se non guariscono, è colpa dei medici o delle medicine. Da oggi, avranno altre due persone a cui attribuire ciò che la vita regalerà loro di positivo, riservando ovviamente le lagnanze per il negativo al destino cinico e baro.
Santissimi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, pregate per loro, che ne hanno bisogno. E pregate anche per i politici cattolici, di nome o di fatto, che oggi affollano il sagrato di san Pietro: fareste veramente un miracolo, se ce li toglieste di torno. Se poteste far crollare, oltre alla croce della val Camonica, anche la cupola di Michelangelo, provocando un’ecatombe di papi e cardinali, oltre che presidenti e politici, vi saremmo veramente grati. Ma temo che questa preghiera non la esaudirete: d’altronde, avete cose ben più elevate su cui intervenire, come guarire i fremiti o i mal di testa di qualche signora. Buon lavoro, dunque, e al vostro prossimo e spettacolare miracolo.
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