Finirà per tornare a casa. Silvio e Pierfy sono una cosa sola, un’anima divisa in due. La pensano allo stesso modo praticamente su tutto, dalla sacralità della famiglia all’economia, dalla lotta alla mafia alla cattolicità dello Stato fino al bombardamento dei clandestini, Silvio e Pierfy sembrano essere fatti l’uno per l’altro. Entrambi post-ideologici (nostalgico piduista uno, ex democristiano di destra l’altro), brillano per coerenza e per non saper raccontare barzellette. Entrambi divorziati (pluri, il Silvio), inneggiano alla famiglia come bene supremo, salvo sciogliere le proprie e impedire agli altri di farlo. Sulla lotta alla mafia il loro pensiero è unanime, da cattolici di ferro che partono dalla parabola del “figliol prodigo”, simboleggiato dalla “pecorella smarrita”, cercano di redimere i mafiosi offrendo loro un lavoro, un tetto, un pasto caldo. Silvio accoglie Dell’Utri e Mangano (in una stalla come Gesù Cristo), Pierfy accudisce Totò Cuffaro, quello dei “cannoli siciliani” dopo la sentenza in cui veniva condannato solo per “concorso esterno in associazione mafiosa”, smentita in appello: “è mafioso e basta”, hanno detto i giudici. Apparentemente l’unico punto debole di un rapporto altrimenti idilliaco, è rappresentato dalla Lega, ma siamo convinti che Silvio saprà come “ripagare” il finto rospo che Pierfy dovrà ingoiare per stringere la mano a Bossi e a Calderoli. Sembra sia arrivata l’ora di Gianfranco Fini. Silvio non ne può più. Manda emissari a destra e a manca per far capire al co-fondatore del Pdl che deve “redimersi” (anche lui!) e, quando si rende conto che con le buone ottiene poco o nulla, manda 2232 a sparar cemento con la cazzuola. Altolà anche al Presidente della Repubblica, reo di aver detto cosa del ddl-bavaglio in discussione non va proprio, ma mica a lui in quanto Giorgio Napolitano, ma alla Costituzione di questo paese. E chi incarica dell’altolà? Niccolò Ghedini che, travolto dal sole cocente di Roma, fa una lezione di diritto costituzionale al “guardiano” principe della Costituzione rimediando battutine e sberleffi. Quello che Berlusconi proprio non sopporta è che qualcuno non possa essere d’accordo con lui, e se questo qualcuno si chiama Fini da fuori di matto. Ora si è messo in testa che deve farlo dimettere dalla presidenza della Camera: “non è possibile che ci attacchi sfruttando la poltrona su cui lo abbiamo messo noi e il fatto di essere il co-fondatore di questo partito. Gli dobbiamo togliere l'uno e l'altro", tuona continuamente e poi, diciamolo, non sopporta più le facce di Fabio Granata e soprattutto di Italo Bocchino che gli ricorda tanto Patty D’Addario, e non fisicamente. Contro Fini, il Silvio manda sempre il cartoon Sandro Bondi per poi dire che l’ex leader di An lo ha maltrattato, poverino. Se non fosse universalmente riconosciuta la tendenza al cabaret del presidente del consiglio, potremmo dire che reiterare match Fini-Bondi è un vezzo perfido, considerato che il finto povero Bondi finisce per prenderle sempre di santa ragione, in diretta televisiva o durante qualsiasi confronto, come quello avvenuto a Roma il primo luglio e ampiamente riportato su…You Tube. I temi erano le intercettazioni telefoniche e il caso Brancher, e crediamo sia inutile parlarne ancora se non per sottolineare la distanza siderale fra il concetto di legalità del Presidente della camera e quella del ministro incaricato di distruggere la cultura. Insomma la strategia del “ghe pensi mi” (lo ha ridetto porc…!), è tornata dopo il viaggio-ciulatina in Brasile e dopo che i finiani hanno fatto capire che votare un ddl così è per loro contronatura. “Prendo in mano io la situazione”, ha detto Silvio, nella speranza che non gli scivoli come la tetta destra di Patty.PS. La foto di Patrizia D’Addario l’abbiamo scattata noi a Piazza Navona. Nessun “diritto” è dovuto. Magazine Società
Fuori Fini, dentro Casini. Senza escort Silvio non vive.
Creato il 03 luglio 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Finirà per tornare a casa. Silvio e Pierfy sono una cosa sola, un’anima divisa in due. La pensano allo stesso modo praticamente su tutto, dalla sacralità della famiglia all’economia, dalla lotta alla mafia alla cattolicità dello Stato fino al bombardamento dei clandestini, Silvio e Pierfy sembrano essere fatti l’uno per l’altro. Entrambi post-ideologici (nostalgico piduista uno, ex democristiano di destra l’altro), brillano per coerenza e per non saper raccontare barzellette. Entrambi divorziati (pluri, il Silvio), inneggiano alla famiglia come bene supremo, salvo sciogliere le proprie e impedire agli altri di farlo. Sulla lotta alla mafia il loro pensiero è unanime, da cattolici di ferro che partono dalla parabola del “figliol prodigo”, simboleggiato dalla “pecorella smarrita”, cercano di redimere i mafiosi offrendo loro un lavoro, un tetto, un pasto caldo. Silvio accoglie Dell’Utri e Mangano (in una stalla come Gesù Cristo), Pierfy accudisce Totò Cuffaro, quello dei “cannoli siciliani” dopo la sentenza in cui veniva condannato solo per “concorso esterno in associazione mafiosa”, smentita in appello: “è mafioso e basta”, hanno detto i giudici. Apparentemente l’unico punto debole di un rapporto altrimenti idilliaco, è rappresentato dalla Lega, ma siamo convinti che Silvio saprà come “ripagare” il finto rospo che Pierfy dovrà ingoiare per stringere la mano a Bossi e a Calderoli. Sembra sia arrivata l’ora di Gianfranco Fini. Silvio non ne può più. Manda emissari a destra e a manca per far capire al co-fondatore del Pdl che deve “redimersi” (anche lui!) e, quando si rende conto che con le buone ottiene poco o nulla, manda 2232 a sparar cemento con la cazzuola. Altolà anche al Presidente della Repubblica, reo di aver detto cosa del ddl-bavaglio in discussione non va proprio, ma mica a lui in quanto Giorgio Napolitano, ma alla Costituzione di questo paese. E chi incarica dell’altolà? Niccolò Ghedini che, travolto dal sole cocente di Roma, fa una lezione di diritto costituzionale al “guardiano” principe della Costituzione rimediando battutine e sberleffi. Quello che Berlusconi proprio non sopporta è che qualcuno non possa essere d’accordo con lui, e se questo qualcuno si chiama Fini da fuori di matto. Ora si è messo in testa che deve farlo dimettere dalla presidenza della Camera: “non è possibile che ci attacchi sfruttando la poltrona su cui lo abbiamo messo noi e il fatto di essere il co-fondatore di questo partito. Gli dobbiamo togliere l'uno e l'altro", tuona continuamente e poi, diciamolo, non sopporta più le facce di Fabio Granata e soprattutto di Italo Bocchino che gli ricorda tanto Patty D’Addario, e non fisicamente. Contro Fini, il Silvio manda sempre il cartoon Sandro Bondi per poi dire che l’ex leader di An lo ha maltrattato, poverino. Se non fosse universalmente riconosciuta la tendenza al cabaret del presidente del consiglio, potremmo dire che reiterare match Fini-Bondi è un vezzo perfido, considerato che il finto povero Bondi finisce per prenderle sempre di santa ragione, in diretta televisiva o durante qualsiasi confronto, come quello avvenuto a Roma il primo luglio e ampiamente riportato su…You Tube. I temi erano le intercettazioni telefoniche e il caso Brancher, e crediamo sia inutile parlarne ancora se non per sottolineare la distanza siderale fra il concetto di legalità del Presidente della camera e quella del ministro incaricato di distruggere la cultura. Insomma la strategia del “ghe pensi mi” (lo ha ridetto porc…!), è tornata dopo il viaggio-ciulatina in Brasile e dopo che i finiani hanno fatto capire che votare un ddl così è per loro contronatura. “Prendo in mano io la situazione”, ha detto Silvio, nella speranza che non gli scivoli come la tetta destra di Patty.PS. La foto di Patrizia D’Addario l’abbiamo scattata noi a Piazza Navona. Nessun “diritto” è dovuto. Potrebbero interessarti anche :
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