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Gabriele D’Annunzio, Pistoia

Da Paolorossi
Pistoia - Duomo e Campanile

Pistoia – Duomo e Campanile

I.

T’amo, città di crucci, aspra Pistoia,
pel sangue de’ tuoi Bianchi e de’ tuoi Neri,
che rosseggiar ne’ tuoi palagi fieri
veggo, uom di parte, con antica gioia.

Come s’uccida in te, come si muoia
i Panciatichi sanno e i Cancellieri
Fin quel de’ Sigisbuldi, tra pensieri
d’amor, grida: «Emmi tutto ‘l Mondo a noia!».

Vanni Fucci odo, come nell’Inferno
tra i sibili del serpe che l’agghiada,
«A te le squadro!» ulular furibondo.

Cino rincalza, folle del suo scherno:
«E’ piacemi veder colpi di spada
altrui nel vólto e navi andar al fondo».

II.

Or placato è nel suo marmo senese,
fuor d’ogni parte, il buon Giureconsulto;
e stanno intorno a lui nel marmo sculto
gli alunni che animò Cellin di Nese.

È in pace la Città dal pistolese
di lama corta. Intorno al suo sepulto
dorme, né vede sul sepolcro occulto
sorridere la bella Vergiolese.

Là dove il mul nemico a Dio Signore,
col Mironne e con Vanni della Monna,
involava a Sant’Iacopo il tesauro,

ella ride il Digesto e il suo dottore,
quasi celata dietro la colonna,
Musa furtiva che nasconde il lauro.

III.

Ma nella sagrestia de’ belli arredi
io conosco un sorriso più divino.
Trema, o Pistoia, in te come il mattino
quando nasce su’ colli; e tu no ‘l vedi.

Colselo un giorno Lorenzo di Credi
forse in un giovinetto fiorentino,
stando con Leonardo e il Perugino
presso Andrea che di gloria ebbeli eredi.

Dalla tavola al marmo, ove riposa
il Forteguerri sotto il grave incarco,
si diffonde quel tremito leggero.

E la Speranza ha la maravigliosa
bocca che il Vinci incurverà com’arco
a mirar l’infinito del Mistero.

(Gabriele D’Annunzio, “Pistoia” da Laudi – Le città del Silenzio)


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