Sul fondo degli oceani e nei sottosuoli ghiacciati dell'Artico è nascosta un'enorme quantità di energia. Milioni di miliardi di metri cubi di metano: quantità difficili anche solo da immaginare, ma sicuramente molto superiori - in termini energetici - a quelle di tutti gli altri combustibili fossili sommati insieme: petrolio, gas e carbone.
Stiamo parlando degli idrati di gas naturale (o gas idrati): composti solidi formati da metano intrappolato in un reticolo di acqua ghiacciata, simili all'apparenza a ghiaccio secco.
I gas idrati sono diffusi in vaste aree del pianeta: prevalentemente si formano nelle condizioni di bassa temperatura ed elevata pressione tipiche dei fondali oceanici, ma sono presenti anche in aree continentali polari e sub-polari. Sono il risultato della decomposizione di materiale organico da parte dei microrganismi presenti nei sedimenti, processo che determina la formazione di metano come prodotto di scarto. In condizioni di temperature particolarmente basse e di pressioni elevate (parametri che si verificano appunto nei fondali marini o nelle zone ricoperte da suolo ghiacciato) le molecole di metano restano intrappolate nel ghiaccio, originando appunto i gas idrati.
I principali giacimenti si trovano lungo i margini di praticamente tutte le piattaforme oceaniche, a profondità compresa tra 500 e 4000 metri, con spessori anche di centinaia di metri. A profondità maggiori l'eccessiva pressione impedisce la loro formazione.
Gas idrati: riserve ignote, ma sicuramente enormi
Le stime sulle risorse energetiche legate ai gas idrati cambiano continuamente in relazione al perfezionarsi degli studi e delle metodologie utilizzate. Tuttavia è corretto dire che non se ne ha un'idea attendibile: una valutazione dell'Iea relativa al 2005 stimava le riserve comprese tra 1 e 5 milioni di Gm3 (miliardi di metri cubi) di gas, corrispondenti a 5-25 volte le odierne riserve provate di gas. Di poco più prudenti sono le valutazioni del servizio geologico Usa, riportate dall'Eia (l'ente americano per l'informazione energetica): riferite al 2012 parlano di riserve comprese tra 300.000 e 3 milioni di Gm 3.
Altre stime riportano valutazioni iperboliche: la stessa Eia intorno al 2000 parlava di risorse che potevano arrivare a quasi 2 miliardi di Gm 3. È però plausibile che le attuali stime dell'Iea e dell'Eia siano largamente sottostimate. Per esempio, India e Usa hanno recentemente firmato un accordo di cooperazione per mettere a punto possibili tecnologie di sfruttamento degli idrati contenuti nei mari indiani. In questo caso il protocollo di intesa parla di riserve (solo per l'India) di circa 1,9 milioni di Gm 3: una cifra che, se fosse attendibile, dovrebbe necessariamente far salire il totale mondiale a molto più dei 5 milioni di Gm 3 stimati dall'Iea.
A piccoli passi verso lo sfruttamento commerciale
L'eventuale sfruttamento commerciale di queste risorse energetiche è tutt'altro che semplice. I problemi sono dovuti non solo all'ambiente marino e alla profondità dei depositi, ma soprattutto a come gestire il metano presente per portarlo in superficie. Infatti i gas idrati sono per loro natura molto instabili: se si modificano le condizioni ambientali di temperatura e pressione passano con rapidità dallo stato solido a quello gassoso, dissociandosi violentemente nei due componenti acqua e metano.
In questo senso i rischi legati a una loro non corretta gestione sono seri. Ciò è vero soprattutto dal punto di vista climatico: dati i volumi in gioco, la dissociazione anche solo degli idrati di un singolo bacino libererebbe in mare (e poi in atmosfera) volumi enormi di gas metano. Il quale - è utile ricordarlo - contribuisce all'effetto serra con un'efficacia 25 volte superiore a quella della CO2.
Ma anche i rischi locali non sono da sottovalutare, poiché il passaggio non controllato degli idrati alla fase gassosa può rendere instabili i versanti sottomarini, con possibili onde di maremoto e danni alle infrastrutture in mare e alle coste.
Lo sviluppo di adeguate tecnologie per lo sfruttamento dei gas idrati è tuttavia in corso un po' ovunque, e in modo particolare in Usa, Canada, Norvegia, Giappone, India e Cina.
Anche l'Italia partecipa a queste attività di ricerca, grazie soprattutto all'OGS ( Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale), che da molti anni si occupa dello sviluppo di metodi geofisici finalizzati a individuare e quantificare la presenza di gas idrati. Le ricerche vengono effettuate in numerose aree oceaniche, compreso l'Antartide, dove proprio i ricercatori dell'OGS hanno scoperto il primo campo di gas idrati del continente.
Va però sottolineato che, per il momento, i gas idrati non possono essere ragionevolmente annoverati tra le risorse energetiche disponibili. Infatti non solo non vengono considerati tra le risorse, ma nemmeno tra le riserve di idrocarburi non convenzionali.
Però sappiamo che esistono, sappiamo dove sono e sappiamo pure come fare per prelevarli. Anzi, teoricamente abbiamo già anche le tecnologie per farlo. Il che vuol dire che si tratta di una riserva certa per il futuro. Probabilmente, nemmeno troppo lontano.
Piccole produzioni sperimentali sono già state fatte. Da questo punto di vista il Paese più avanzato è probabilmente il Giappone, che trova un forte stimolo in tal senso dal fatto che non ha rilevanti riserve di energia interne, ed è sempre più dipendente dalle importazioni di Gnl (gas naturale liquefatto).
Alcuni mesi fa, in un'intervista in cui parlava del recente "miracolo energetico americano" legato allo sviluppo dello shale gas, il direttore esecutivo dell'Iea, Maria van der Hoeven, ha affermato che "potrebbero esserci altre sorprese in serbo. Ad esempio, gli idrati di metano al largo delle coste del Giappone e del Canada [...]. Siamo ancora in una fase molto precoce. Ma lo shale gas era nella stessa posizione solo 10 anni fa. Non si può quindi escludere che lo sviluppo tecnologico ci regali nuove rivoluzioni energetiche".
[ Valter Cirillo]