In antichità l'uomo aveva imparato fin dall'epoca delle grandi civiltà a conservare la neve e il ghiaccio dei periodi invernali in grotte o appositi luoghi, sia per aumentare la durata degli alimenti maggiormente deperibili che per preparare bevande dissetanti.
In India gli imperatori Moghul inviavano cavalieri sulle montagne dell'Hindu Kush per prelevare ghiaccio e neve che venivano impiegati per preparare sorbetti da servire a corte.
(Il carrettino dei gelati, inizio Novecento)
La più antica documentazione sulla conservazione del ghiaccio nell'antica Cina è contenuta in un poema della famosa raccolta Shih Ching del "Canone dei Cibi", datata 1100 a. C.
Ma anche la Bibbia menziona i nostri protagonisti, più precisamente nell'Antico Testamento quando Isacco rivolgendosi al padre Abramo dice: "Mangia e bevi: il sole è ardente e così puoi rinfrescarti"; molti studiosi sostengono che probabilmente il prodotto a cui fa riferimento è proprio il gelato. Questa supposizione non è poi così assurda se si pensa che usanze simili erano presenti nell' Antico Egitto ed in altre civiltà dell'area del Nord Africa.
Durante gli scavi archeologici di Troia sono state rinvenute ampie fosse per conservare il ghiaccio; gli studiosi suppongono (avvalorati da reperti e documenti) che ghiaccio e neve venissero gustati assieme a succhi di frutta come preparati efficaci per dissetare.
Come appena affermato nell'Antica Grecia il ghiaccio e la neve venivano conservati in enormi buche e poi erano ricoperti di paglia per garantire la conservazione; nei mercati di Atene veniva venduto il ghiaccio misto a miele, noci e succo di frutta.
Anche nell'Antica Roma vi erano usi similari come documenta Plinio; è chiaro però che questi prodotti erano appannaggio quasi esclusivo dei ceti elevati.
Se la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e le conseguenti forti modificazioni di carattere culturale, sociale e territoriale determinarono la scomparsa di alcuni usi gastronomici e preparazioni, nel mondo Arabo le tecniche per fare gelati e sorbetti vennero migliorate e diversificate; in questa fenomenologia i reduci delle Crociate ebbero un ruolo decisivo nella trasmissione delle nuove tecniche e preparazioni arabe in Occidente.
Gelato e preparazioni similari avevano posto d'onore nei banchetti che si svolgevano alla Corte dei Medici; quando nel 1533 Caterina de Medici si apprestò per andare in Francia per sposarsi con il futuro Enrico II si portò con se un certo Ruggeri, grande appassionato di cucina e possessore di una ricetta straordinaria per preparare il gelato, che poi a seguito di varie vicende si diffonderà in tutta Francia. Il "prodigio del gelato" presentò al banchetto di nozze di Caterina "ghiaccio all'acqua inzuccherata e variamente profumata con limoni, arance, ciliegie e frutti di bosco" che incantò gli ospiti.
(Gelatari Zoldani, "il gelato della Val di Zoldo e del Cadore")
Suo contemporaneo, Bernardo Buontalenti, fiorentino, architetto, pittore, scultore e cuoco per passione, fu incaricato da Cosimo I di organizzare una serie di strabilianti feste. Questi veri e propri spettacoli di lusso e abbondanza avevano come momento culminante la presentazione dei famosi dolci gelificati, di qualità superiore a quelli esistenti.
L'invenzione del gelato come lo conosciamo oggi (cioè a base grassa) ha due differenti attribuzioni che dividono gli storici: alcuni lo identificarono proprio nelle creazioni del Buontalenti, altri al pasticcere di Carlo I d'Inghilterra che l'avrebbe inventato nel 1650.
Nel 1660 Francesco Procopio de' Coltelli siciliano giunto a Parigi, apportando alcune modifiche alla ricetta allora conosciuta per la preparazione dei gelati (zucchero anziché miele e al ghiaccio per farlo durare di più), contribuì a migliorare enormemente il risultato. Nel 1686 aprì un caffè in Rue des Fosses-Saint Germain riscontrando molto successo con i "gelati all'italiana". Addirittura era esposta una "patente reale" che elencava le ricette cui Luigi XIV aveva concesso a Procopio l'esclusiva.
Successivamente il prodotto si consolidò e diffuse in molti Paesi europei; soprattutto in Italia nei grandi centri urbani la produzione e le varietà offerte aumentarono considerevolmente.
Il prototipo del gelato industriale nacque con tutta probabilità a Baltimora nel 1851: un grossista di latte di nome Fussel ebbe l'idea di trasformare le eccedenze di latte in gelato, una soluzione pratica che era finalizzata ad una maggiore e più efficace resa economica, che si rivelò vincente e gettò le basi per l'industria del gelato che si sviluppò successivamente, anche se bisogna riconoscere che le prime macchine per la sua produzione erano già presenti attorno agli anni Trenta / Quaranta dell'Ottocento.
Anche il cinema e la letteratura ebbero spesso tra i propri protagonisti questo alimento, pensiamo al famosissimo film diretto da William Wyler "Vacanze romane" in cui la protagonista in una famosa scena si gusta un gelato, oppure per chi si ricorda ancora come me, ad un episodio dello sceneggiato "Simpatiche canaglie" serial cinematografico americano di cortometraggi degli anni Trenta i cui protagonisti sono un gruppo di bambini; in questo caso il gelato è uno dei maggiori desideri di questi piccoli protagonisti poveri, che lo guardano con occhi pieni di desiderio.
Ma è presente anche in letteratura e in due modi diversi oserei dire: da un lato in racconti e poesie, ne parla Carlo Goldoni ma anche Flaubert in Madame Bovary; dall'altro esso è uno dei protagonisti dei racconti di molti scrittori che descrivono le tipicità naturalistiche e gastronomiche del Bel Paese, due esempi su tutti sono Charles Dickens e Stendhal.
Del resto come non parlare di un prodotto che sa dissetare, nutrire e al tempo stesso tira su il morale e ci coccola con la sua bontà?!
Ivi è raccolta in neve
la fragola gentil che di lontano
pur col soave odor tradì se stessa;
v'è il salubre limon; v'è il molle latte
v'è con largo tesor culto fra noi
pomo stranier che coronato usurpa
loco a i pomi natil; v'è le due brune
odorose bevande che pur dianzi
di scoppiato vulcan simil al corso
fumanti ardenti torbide spumose
inondavan le tazze; ed or congeste
sonoil rigidi coni a fieder pronte
di contraria dolcezza i sensi altrui.
(Carlo Goldoni, Amore in caricatura, 1761).