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Gerald Green: un giocatore fuori dalla norma

Creato il 03 aprile 2014 da Basketcaffe @basketcaffe

Di norma, un giocatore che emigra all’estero dalla NBA all’età di 23 anni non vi dovrebbe più far ritorno, se non per qualche sporadica ed anonima apparizione. Di norma, appunto. Parlando di Gerald Green, però, la norma è bene lasciarla da parte. Ci troviamo di fronte, infatti, ad un giocatore e ad un uomo che con la normalità ha poco a che vedere. Sbarcato nella NBA nel 2005 direttamente dall’high school e scelto dai Boston con la pick numero 18 del Draft, Green si trova ad essere parte del periodo di ricostruzione dei Celtics pre Big Three, uno dei più bui dell’intera storia biancoverde.

Green ha dentro di se una grande insicurezza, come da lui stesso ammesso a causa della mancanza della falange dell’anulare destro, staccatasi mentre tentava di schiacciare ad un canestrino attaccato alla porta quando era ancora un bambino. Nel primo anno di permanenza nella Bean City, Gerald mette insieme cifre modeste (5.2 ppg, 0.6 apg, 1.3 rpg) collezionando anche due viaggi nella D-League in seguito al poco spazio che trova in squadra. Al secondo ed ultimo anno a Boston, Green vede salire il proprio minutaggio e riesce sostanzialmente (anche grazie all’infortunio di Pierce) a raddoppiare le sue cifre e a vincere lo Slam Dunk Contest all’All-Star Game di Las Vegas. Le doti fisiche di Green sono infatti impressionanti, fuori dalla norma, e il suo stacco da terra e la sua abilità nello stare in aria gli consentono di crearsi una certa fama nella NBA apparendo spesso negli highlights di giornata.

Nell’estate del 2007, dopo essere stato coinvolto nel maxi-scambio Garnett, Green inizia a vagabondare per la NBA cambiando tre squadre in due anni (Minnesota, Houston e Dallas) senza lasciare il segno in nessuna di esse. Nell’estate del 2009 decide di correre il rischio di lasciare la Lega e tra il 2009 e il 2011 gioca per due diverse squadre russe e addirittura in Cina. Un’altra esperienza nella D-League è il preludio al ritorno in NBA nel febbraio 2012 con i New Jersey Nets con cui mette insieme buoni numeri (12.9 ppg, 1.1 apg, 3.5 rpg tirando con il 48.1% dal campo e il 39.1% da tre) che lasciano intravedere una possibile rinascita. Da free-agent, firma un triennale con gli Indiana Pacers riuscendo finalmente ad ottenere un contratto duraturo con una franchigia NBA. L’anno trascorso a Indiana è meno roseo del previsto, Green gioca solamente 18 minuti a sera mettendo insieme cifre di poco rilievo e collezionando come sempre qualche highlight con una delle sue poderose schiacciate, per poi venire sostanzialmente scordato in panchina da coach Vogel nei Playoffs.

Nell’estate del 2013 Green viene coinvolto nello scambio che porta Scola ad Indianapolis e approda ai Phoenix Suns, la sua settima squadra NBA. I Suns non sono stati costruiti per approdare alla post-season, ma sotto la regia di Jeff Hornacek in panchina e di Goran Dragic in campo, la franchigia dell’Arizona è protagonista del più grande exploit dell’annata NBA ancora in corso. Phoenix infatti si trova momentaneamente appaiata a Dallas e Memphis che occupano la settima e l’ottava posizione ad Ovest, dopo essere stata tutto l’anno stabilmente tra le prime sei-sette squadre dell’ultra competitiva Western Conference. A poche gare dal termine, i Suns potrebbero coronare una cavalcata memorabile con il raggiungimento dei Playoffs che mancano da ormai quattro anni. Green di questi Suns è un pezzo fondamentale, come dimostrano i 15.5 ppg. (massimo in carriera) che ne fanno il terzo marcatore di squadra. Il 6 marzo stabilisce il proprio career-high realizzando 41 punti ai Thunder conditi da 8 triple.

Dopo un lungo peregrinare nella NBA e non, dopo essere stato dato per disperso o per finito troppo presto, il non normale percorso di Green sembra aver finalmente trovato il punto d’arrivo in quel di Phoenix.


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