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Gesta e Opinioni del Dottor Faustroll patafisico IV

Creato il 18 settembre 2012 da Marvigar4

Jarry Vignolo

Libro Terzo: Da Parigi a Parigi per mare o il Robinson belga

A Alfred Vallette [8]

S’informarono di quali persone sagge stessero allora nella città,
e quale vino vi si bevesse.

Gargantua, cap. XVI.

XI
DELL’IMBARCO NELL’ARCA

   Bosse-de-Nage discese a passi minuziosi, posando l’aderenza piatta dei suoi piedi come si stende un manifesto incollato, e teneva l’asse sulla sua spalla per le orecchie, a imitazione degli antichi Egiziani che istruivano i loro discepoli. Il dorso di metallo rossiccio, simile a quello della notonetta, brillò al sole a mano a mano che il lungo battello arrischiava fuori dal corridoio il suo rostro di pesce spada di dodici metri. Le pale curvate dei remi fecero fragore aggrappandosi alle pareti di vecchie pietre.
   “Ha ha !” disse Bosse-de-Nage scaricando l’asse sul marciapiede; ma non aggiunse, per questa volta, nessun altra cosa.
   Faustroll stropicciò le guance rubiconde del mozzo sulle guide della sella mobile, al fine di lubrificarle; la faccia scorticata risplendé più luminosa, gonfiandosi alla prua, a lanterna della nostra rotta. Il dottore si mise a sedere a poppa sul suo seggio d’avorio, il tavolo d’onice tra le sue gambe, sopraccaricato delle sue bussole, carte, sestanti e tutti gli strumenti scientifici, gettò ai suoi piedi, a mo’ di zavorra, gli esseri riservati dei suoi ventisette libri pari e il manoscritto da me sequestrato; passò ai suoi gomiti le due guide della barra, e facendomi segno di sedere, davanti a lui, sul sedile di feltro dai movimenti alternativi (a questo, già ebbro e persuaso a metà, io non seppi disubbidire), m’impastoiò i piedi a due ceppi di cuoio, in fondo all’asse, e lanciò verso le mie mani le maniglie dei remi di frassino le cui pale si divaricarono nella simmetria frusciante di due piume di pavone che ruotassero da sole.
   Io tirai i remi indietreggiando senza sapere dove, guardando di sbieco tra due file di fili fradici di orizzontalità grigie, incrociando delle forme sorte dietro di me che i remi secanti falciavano alle gambe; altre forme lontane imitavano il senso della nostra rotta.
   Noi ci inserivamo tra le folle d’uomini come in una bruma densa, e il segno acustico della nostra progressione era l’acutezza della seta lacerata.
   Tra le lontane, che noi seguivamo, e le prossime che noi incrociavamo, delle terze figure verticali, più stazionarie, erano osservabili, e Faustroll non opponendosi punto, spiegandomi anzi che la vita dei navigatori stava nell’abbordare e nel bere, e il ruolo di Bosse-de-Nage nel tirare l’asse sulla riva a ogni sosta dei nostri errori, come quello delle sue parole di interrompere, là dove una pausa fosse utile, i nostri discorsi, io guardai gli esseri che scoprivo a ritroso, similmente agli osservatori nella caverna platonica, e consultai successivamente l’insegnamento del padrone della nave, Faustroll il dottore.

XII
DEL MARE D’ABBONDO, DEL FARO OLFATTIVO E DELL’ISOLA DI CACCA DOVE NON BEVEMMO

A Louis Lermoul [9]

   Quel corpo morto, disse, della cui carcassa tu vedi dei barbogi bianchi, dal tremore senile, e dei giovani rossastri, dalle parole e dal silenzio d’idiozia equivalente, dar l’imbeccata a uccelli picchiettati di bianco e nero, il colore della scrittura, come l’icneumone si avvita per serbare il suo uovo, non è solamente un’isola, ma un uomo; si diletta a essere chiamato il Barone Ildebrando del mare d’Abbondo10. “E dal momento che l’isola è sterile e desolata, egli non ha alcuna specie di barba. Soffrì di impetigine durante l’infanzia, e la sua nutrice, che era talmente vecchia che si ottenevano dai suoi consigli delle evacuazioni anormali, gli predisse che era un segno di come non avrebbe potuto dissimulare agli uomini L’infame nudità del suo muso di vitello.
   “Egli è morto e putrefatto nel cervello, e nei centri anteriori del midollo, che sono preposti al movimento. E a causa di codesta inerzia, egli, sulla rotta della nostra navigazione, non è un uomo, ma un’isola, ed è per questo (se voi fate i bravi, vi mostrerò la pianta)
   – Ha ha! disse Bosse-de-Nage, destatosi improvvisamente; poi si chiuse in un mutismo ostinato.
   – È per questo, continuò Faustroll, che io lo trovo menzionato sulla mia carta fluviale Isola-di-Cacca.
   – Sì, ma, soggiunsi, com’è che quell’afflusso di popolo e di uccelli, che viene a depositare pagine mortuarie sul cadavere, s’abbatte su di lui con questa sicumera, in mezzo a questa vasta pianura, visto che tutti quei vegliardi e giovani, se non sono isobici, sono ciechi e destituiti di bastone?
   – Ecco, disse Faustroll, aprendo il suo manoscritto sequestrato, gli ELEMENTI DI PATAFISICA, libro N, cap. ?: Delle Obeliscolicnie per i cani, ancorché abbaino alla luna.
   “Un faro b nella tempesta, afferma Corbière: un faro solleva il dito per significare da lungi il posto della salvezza, della verità e del bello. Ma per le talpe e per voi stesso, Panmuphle, un faro è tanto invisibile quanto impercettibile il decimillunesimo periodo sonoro, o i raggi infrarossi, al chiarore dei quali io ho scritto questo libro. Il faro dell’isola di Cacca è un faro oscuro, sotterraneo e cloacale, come dopo aver guardato troppo il sole. Poiché le onde no n vi s’infrangono affatto, non si è guidati neanche dal rumore. E il vostro cerume, Panmuphle, otturerebbe le vostre orecchie anche ai rumori dal basso.
   “Questo faro s’alimenta con la materia pura che è la sostanza dell’isola di Cacca; è l’anima del Barone che dalla sua bocca egli esala e che insuffla tramite una cerbottana di piombo. Da tutti i quartieri dove io non voglio affatto bere, il volo guidato dal suo odorato, delle pagine simili a gazze, viene a suggere la vita (la loro, esclusiva) al getto sciropposo e fumigante della cerbottana saturnina. E affinché nessuno li derubi, i barbogi bianchi, istituitisi in convento, costruiscono sulla carcassa del Barone una piccola cappella che essi battezzano CATTOLICA MASSIMA. Gli uccelli picchiettati di bianco e nero ivi hanno la loro colombaia. Il popolo li chiama anatroccoli selvatici. Noi, patafisici, li definiamo semplicemente e onestamente rovista-merde.”

XIII
DEL PAESE DI MERLETTI

A Aubrey Beardsley [11]

   Quell’incresciosa isola lasciata addietro, la pianta ripiegata, io remai ancora sei ore, le dita dei piedi nei miei ceppi, la lingua penzolante per la sete, perché noi se avessimo bevuto nell’isola saremmo morti, e Faustroll me ne discostò con scosse parallele delle due corde della sua barra, così perpendicolarmente che, nel mio retrogrado scivolare, io percepivo giusto tra i miei occhi la continuità della sua fumata, al punto che mi fu mascherata dalle spalle del dottore. Bosse-de-Nage, esentato d’alterazione fino a perdere colore, non emanava che uno scialbo chiarore.
   Quand’ecco che una luce più pura di quella fu separata dalle tenebre, e in modo diverso rispetto alla nascita brutale del mondo.
   Il re dei Merletti la stirava come un cordaio persuade la sua linea retrograda, e i fili tremavano un po’ nell’’oscurità dell’aria, come quelli della Vergine. Essi ordirono delle foreste, paragonabili a quelle di cui, sui vetri, la brina conta le foglie; poi una madonna e il suo Bambino nella neve di Natale; poi dei gioielli, dei pavoni, e dei vestiti, che si frammischiavano come la danza natatoria delle figlie del Reno. I Belli e le Belle si pavoneggiarono e fecero la ruota a imitazione dei ventagli, fino a che la loro folla paziente si sconcertò in un grido. Alla stessa stregua dei giunoniani bianchi, appollaiati in un parco, che reclamano con discordanza quando la bugiarda intrusione d’una fiaccola gli scimmiotta prematuramente l’alba loro specchio, una forma candida si arrotondò nella fustaia di pece graffiata; e come Pierrot canta nel guazzabuglio dell’aggomitolarsi della luna, il paradosso di giorno minore sorgeva d’Ali-Baba urlante nell’olio impietoso e nell’opacità dell’orcio.
   Bosse-de-Nage, per quanto potei giudicare, non capiva granché di queste cose prodigiose.
   “Ha ha” disse concisamente; e non si perse per nulla in considerazioni più ampie.

XIV
DEL BOSCO D’AMORE

A Emile Bernard [12]

   Come una raganella fuori dell’acqua, l’asse strisciava trascinato dalle sue ventose lungo una strada liscia e discendente.
   In quel quartiere di Parigi, dove un omnibus non era mai passato, né una ferrovia, né un tramway, né una bicicletta, né probabilmente un battello a traforo in tela di rame, ruotante su tre rulli d’acciaio nello stesso piano, montato da un dottore patafisico, avente ai suoi piedi le ventisette più eccellenti quintessenze d’opere che avesse riportato la gente curiosa dal proprio viaggio; da un ufficiale di nome Panmuphle (il sottoscritto René-Isidore), e da una scimmia cinocefala idrocefala che dell’umano linguaggio non sapeva altro motto che ha ha, al posto di lampade a gas noi intravedemmo delle antiche opere in pietra squadrata, delle statue verdi, accovacciate in abiti plissettati a forma di cuore; dei girotondi eterosessuali che soffiavano in pifferi indicibili; infine un calvario verde d’alga in cui gli occhi delle donne erano simili a delle noci spaccate orizzontalmente lungo il tratto di sutura delle loro valve.
   La discesa si schiuse subito in un triangolo d’una piazza. Anche il cielo si schiuse, un sole fece scoppiare dentro come in una gola il giallo d’uovo d’un prairie-oyster, e l’azzurro blu rosso; il mare s’intiepidì fino a fumigare, i costumi ritinti della gente furono macchie più eclatanti di gemme opache.
   “Siete cristiani? disse un uomo abbronzato, vestito con un camiciotto screziato, in mezzo alla piccola città triangolare.
   – Come M. Arouet, M. Renan et M. Charbonnel, dissi io dopo aver riflettuto.
   – Io sono Dio, disse Faustroll.
   – Ha ha !” disse Bosse-de-Nage, senza altri commenti.
   Perciò io restai a guardia dell’asse con la scimmia-mozzo, che passò il tempo a saltarmi sulle spalle e a scompisciarmi sulla schiena; ma, respingendolo a colpi di fasci di citazioni, io consideravo curiosamente da lungi il contegno dell’uomo screziato al quale era andata a genio la risposta di Faustroll.
   Erano assisi sotto una grande porta, dietro la quale ve n’era una seconda, e dietro al tutto fiammeggiavano il verde e il grasso d’un campo di cavoli istoriato. In mezzo s’allungavano dei tavoli e delle brocche e delle panche, in un granaio e in un’aia, piene di gente in velluto blu zaffiro, con volti fatti a forma di losanga e con capelli color lanugine, il pelame del suolo e delle nuche simile al pelo di vacca. Gli uomini lottarono in una prateria blu e gialla, cacciando verso di me nella barca il terrore di rospi di argilla grigia; le coppie danzarono le gavotte; le cornamuse, dall’alto di barili appena svuotati, soffiarono il volo di nastri di orpelli bianchi e di seta violette.
   I duemila danzatori del granaio offrirono ciascuno a Faustroll una frittella piatta, di latte duro e cubico, e un alcool diverso, in un bicchiere spesso come il grande diametro d’una ametista episcopale e meno capace d’un ditale. Il dottore bevve a tutti. Ognuno gettò verso il mare un ciottolo, che scorticò le vesciche delle mie mani di rematore principiante, aperte per proteggermi, e gli zigomi pavesati di Bosse-de-Nage.
   “Ha ha !” grugnì questo per esprimere il suo furore, ma si rammentò del suo giuramento.
   Il dottore ritornò al suono delle campane, con due grandi mappe del paese, che gli aveva dato la sua guida come puro dono; una rappresentava al naturale, raffigurato in arazzo, la foresta dove s’addossava la piazza triangolare: le fronde incarnate sopra l’erba di un uniforme azzurro, e i gruppi di donne, l’onda di ciascun gruppo, con la sua cresta di cuffie bianche, che s’infrangeva senza fracasso al suolo, in un cerchio eccentrico d’ombra aurora.
   E v’era scritto sopra : Il bosco d’Amore. Sulla seconda mappa vi si insegnavano tutti i prodotti di questa terra felice, gli uomini al mercato di loro maiali tondi e gialli, e loro tondi e blu, insaccati nei loro abiti. Il tutto era gonfio come le guance d’uno zampognaro, pieno come una zampogna prima di restituire il vento, o come uno stomaco.
   L’ospite cristiano prese cortesemente congedo da Faustroll, e se ne andò in una barca di sua proprietà verso un paese più lontano. E noi vedemmo la linea rossa dell’orizzonte del mare fendere il traverso della sua vela rosa.
   Si sfregarono le guance adipose della scimmia idrocefala sulle guide della sella di feltro; avendo ripreso i remi e Faustroll le guide di seta della barra, io mi accovacciai e mi distesi di nuovo nei movimenti alterni del rematore, sui flutti uniti della terraferma.

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[8] Alfred Vallette (1858-1937) fu il fondatore e il direttore del «Mercure de France», la famosa rivista che vide Jarry tra i collaboratori nel periodo dal 1894 al 1899. Questo «Libro Terzo» di Gestes… fu pubblicato proprio sul «Mercure de France» , preceduto dal cap. VI, nel maggio 1898.

[9] Louis Lermoul (1869-1922) direttore della rivista L’Art Littéraire in cui vennero pubblicati i primi scritti di Alfred Jarry.

[10] L’originale Hildebrand de la mer d’Habundes è in realtà un gioco di parole scatologico: Ile de bran de la merde abonde (Isola di cacca della merda abbonda).

[11] Aubrey Beardsley (1872-1898), pittore, incisore inglese, fu amico di Alfred Jarry.

[12] Emile Bernard (1868-1941) pittore della scuola Nabi.



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