Nel secondo capitolo del libro, d'Arcais sottolinea il secondo errore storico nella ricostruzione di Ratzinger del movimento cristiano delle origini.
Il pontefice tedesco afferma infatti che l'insegnamento di Gesù, conservato e tramandato dai suoi discepoli, fu quello di un'attesa indefinita della «seconda venuta» (la Parusia) di Gesù:
Fa parte del nucleo del messaggio escatologico di Gesù, l'annuncio di un tempo dei gentili, durante il quale il vangelo deve essere portato in tutto il mondo e a tutti gli uomini: solo dopo la storia può raggiungere la sua meta.
D'Arcais intende dimostrare come le cose stiano all'opposto: gli ebrei della «via» o della «nuova dottrina» (il nome dei cristiani in Atti e nelle epistole paoline) attendevano il ritorno immediato di Gesù, il cui euaggelion, la «buona novella» era la vicinissima fine dei tempi.
Per fare ciò, d'Arcais lascia parlare le fonti cristiane, per prima quelle più antiche, Paolo:
- «Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti.» (Prima lettera ai Tessaloicesi, 4,15, datata ai primi anni 50)
- «Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» [...] «Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi.» (Prima lettera ai Corinzi, 1,7 e 10,11, datata al 54/55)
- La Prima lettera ai Corinzi è scritta ad una comunità in cui i primi membri stanno morendo, e Paolo tenta di rincuorarli («Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza», 4,13); la comunità è evidentemente scossa perché ci si attende l'arrivo prossimo della fine dei tempi e la morte di alcuni di loro nella sua attesa è sconvolgente.
- La vicinanza della fine dei tempi è l'unico modo per giustificare il seguente comandamento impartito da Paolo, che non avrebbe senso se la Parusia fosse ancora lontana: «Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero;quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!» (Prima lettera ai Corinzi, 7,29-31)
- «Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino.» (Lettera ai Romani, 13,11-12, datata all'anno 57)
- «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute.» (Vangelo secondo Marco, 13,30)
- «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada.» (Vangelo secondo Matteo, 24,34)
Col passare dei tempi, la situazione si fece sempre più difficile per i cristiani: l'attesa per l'imminente fine del mondo era andata ampiamente delusa dal mancato avverarsi della promessa di Gesù. Gli scrittori cristiani non si fecero scrupolo di falsificare alcuni documenti, attribuendoli agli apostoli, per modificare l'insegnamento di Gesù e giustificare questo ritardo.
Uno di essi produsse quella che divenne poi nota come Seconda lettera ai Tessalonicesi, attribuita a Paolo ma opera di un autore ignoto e composta tra la fine del I e l'inizio del II secolo. In essa questo falso «Paolo» smentisce quanto il vero Paolo aveva scritto nella Prima lettera ai Tessalonicesi, affermando (2, 1-2):
Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente.Un altro autore anonimo scrive intorno al 130, spacciandosi per Pietro apostolo, quella che poi sarebbe divenuta nota come Seconda lettera di Pietro. In essa l'autore fa finta che l'apostolo abbia previsto ciò che sarebbe successo quando la promessa fine dei tempi non fosse arrivata (3, 3-4 e 8-9):
Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: "Dov'è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione". [...] Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.La necessità produrre una giustificazione per il mancato arrivo della fine dei tempi e della seconda venuta di Gesù non può significare altro che i cristiani delle origini credevano fermamente che Gesù avesse promesso l'imminente arrivo del Regno di Dio, di cui i suoi discepoli sarebbero stati testimoni.
Il fallimento della profezia di Gesù obbligò i suoi seguaci appartenenti a generazioni successive a quelle dei suoi discepoli ad elaborare una reinterpretazione delle sue parole che eliminasse questo fallimento: la scelta fu quella di smentire l'imminenza della Parusia, trasformandola da un evento vicinissimo in un'attesa indefinita.
Ed è proprio questa attesa indefinita a giustificare la formazione della Chiesa, organizzazione che non sarebbe stata necessaria se la fine del mondo fosse giunta nel I secolo. Non è dunque strano che Ratzinger debba manipolare i testi per nascondere questa verità.
L'immagine della Parusia di Gesù è il mosaico absidale della Basilica dei Santi Cosma e Damiano a Roma (Holly Hayes, «Rome: Santi Cosma e Damiano», CC by-nc 2.0).