Pubblicato da Giovanni Nuscis su novembre 22, 2011
Che il mondo debba essere madre amorosa e nutrice, di tutti, e che non debbano esserci diseguaglianze marcate tra le persone, e violenta ingordigia, è un sogno che in tanti, da sempre, ci portiamo dentro. Memoria ancestrale di un eden perduto, dell’Uno intrauterino? O paura? Il sentimento di giustizia, in fondo, non è estraneo all’estetica, perché un mondo iniquo viene avvertito come brutto e spaventevole, oltre che invivibile, e perché sub limen s’avverte paura e distanza da ciò che è terribile. Sentimento, quello di paura, che abbiamo visto crescere in questi ultimi anni assieme alla precarietà economica, prendendo atto che chi occupa posti di potere lo fa, il più delle volte, solo per tornaconto personale; siamo sempre più consapevoli – anche grazie ai media e alla rete – che un’élite agguerritissima sta segnando, e forse ha già segnato, i nostri destini.
Come può la poesia, in quanto espressione di sguardo, pensiero e sentimenti essere indifferente a tutto questo? Assieme alla ricerca di noi stessi, e dell’essenza delle cose e dell’esistere, può forse escludersi dalla vibratile e profonda rappresentazione del mondo il dolore e l’indignazione per le sue miserie, il cui retro sguardo è proprio la bellezza e l’armonia infranta, o possibile? La poesia cosiddetta civile – che è poesia, innanzitutto – non solo non esclude una fede forte nella bellezza (non solo artistica), ma finanche la presuppone, in un ordine (non solo naturale) che, nel qui ed ora, dà a ciascuno il suo (suum cuique tribuere, precetto cardine del diritto romano).
La silloge poetica A futura memoria di Gianmario Lucini (CFR 2011), ma anche la precedente Sapienziali (Puntoacapo 2010) mi sembra che inveri perfettamente l’aspirazione a un’armonia possibile, partendo, appunto, dalla dolente rappresentazione delle disarmonie della vita: la guerra, gli attentati, la crisi economica, la povertà, il guscio vuoto delle false democrazie. La poesia di Lucini ricorda i profeti carismatici del vecchio testamento, nella denuncia dei comportamenti in contrasto con un ideale condiviso di giustizia e di perfezione. Denunce e condanne (oracoli di rovina) riferiti a contesti storici precisi, e scenari apocalittici (visioni). Sovviene subito il nome di David Maria Turoldo, non a caso richiamato nell’esergo che apre la Parte prima della raccolta: “allora tutto tornerà a muoversi/verso il Caos supremo,/quando la fame si fonderà con la Noia/e la Disperazione con la Rabbia,//quando i Rabbiosi del mondo intero/saranno tutti uniti:/-questa divina collera dei poveri,/profezia sempre in agguato!-//allora non potrai neppure sparare/perché sparerai su di te.” (D. M. Turoldo – La grande notte).
Il libro è strutturato in tre parti: Percorso di guerra, Elegie per Baghdad, Diario al fronte. “Una testimonianza ideale”, scrive Marco Ratto nella sua prefazione, “ma ugualmente molto concreta, del sentimento e dei sentimenti del nostro tempo, […] capace di rappresentare anche i sentimenti di ogni tempo, intendendo così mostrare che la natura dell’uomo, attraverso i millenni, in fondo, non è cambiata affatto, soprattutto quando si parla di coscienza, di sensibilità nei confronti del dramma e dei drammi delle guerre, anche lontane in senso fisico, e della sfera emotiva che ruota intorno ad esse.”
*
A futura memoria
Al settimo giorno di guerra,
i costruttori di pace levarono alto
un tardivo lamento di vergogna
e gli esperti di guerra televisiva
commentarono con grande saggezza.
Così chiudemmo la cronaca,
gracchiando penne sulla carta, a meditare,
così si medita un classico tragico
a doppio coro, fingendo dialettica
invocazione a Dioniso, epilogo,
a futura memoria.
*
L’orrore
Ma il vero orrore non appare ancora:
sonnecchia in agguato,
dentro i tubi catodici.
Chi nascerà senza braccia a supplicare,
chi scaverà il suo pane fra le scorie
dell’uranio impoverito,
chi vedrà nel cielo un’illusione
lacerarsi a brani,
chi maledirà gli amici
e l’arroganza sciocca dei tecnocrati,
chi profeterà la fine dei tempi
per cimiteri senza nome e senza preci
-terra di nessuno
e senza cura d’anime,
terra senza cura e senza canto
d’uccelli a primavera…
*
A tarallucci e vino
Oggi sono nati altri mondi. Scriveremo
insieme un’altra storia con l’inchiostro
che gorgogliando dorme, sotto la sabbia.
Scriveremo la rabbia che si aggruma,
con versi impoetici. Crolla
il prezzo del petrolio, l’aria è sempre più malata,
l’economia dà cibo a buon mercato,
i poveri non coltiveranno più i loro campi
tutti a delinquere o a scrivere poesie,
clientes dell’impero democratico,
coloni delle guerre preventive.
Il bianco Papa starnazzerà un poco,
ma poi benedirà suo malgrado
e rimarranno quei quattro coglioni di sempre,
comunisti o preti devianti
a parlare di un’altra giustizia
quelli che non hanno voce, a gridare,
cani rognosi nel festino occidentale
e tutto finirà a tarallucci e vino.
*
Sonetto della sentinella
Se scrivo dal fronte, è soltanto per trafiggere
coscienze che ancora non sono dilaniate
e spargere parole che, spezzata ogni catena,
invadano l’etere, sollevino miasmi,
pulviscoli e veleni nel torpore nietzschiano.
Ti scrivo e poco mi importa
dell’odio, dell’amore, di tutti i sentimenti
che, sul campo di battaglia, cedono alle raffiche,
inceneriscono ai sibili del fosforo.
Io sono un Buddha di pietra su una rupe,
a contemplare la patetica disfatta
di una grande civiltà che si divora
come il serpente, cannibalescamente.
*
Trincea
Viviamo accucciati in posizione fetale,
pronti allo scatto, all’assalto, qui in trincea,
consumiamo tabacco e la razione kappa,
scrutiamo il silenzio, senza mai arretrare
né avanzare, pazienti si attende
-in posizione fetale – la promessa.
Il sole sbianca i tuoi capelli, amore,
il nostro letto è un buco di trincea,
i figli giocano coi ritratti dei soldati
morti, coi bossoli spenti
crescono sani e democratici,
destinati a un futuro più libero
e, quando li porti di domenica a giocare,
guerreggiano buttandosi sull’erba,
fingendo la morte che conoscono – i bambini,
che pena mi fanno quando ci guardano,
assorti ci ascoltano, ci studiano il volto
per leggervi il senso della vita -.
*
Reporter
Quando passerai di là, racconta le macerie,
punta l’obiettivo e vedrai ondeggiare
spettri di fumo e, nel cupo del cielo,
il lamento dei cani,
non ci saranno più alberi, il deserto
sarà il nuovo padrone
e sopra la scena una madre antica
allargherà le braccia nella sua veste nera.
Ci sarà anche la fame, cattiva consigliera
del nostro infinito.
*
Volantino
Tu non dar credito a propagande disfattiste,
inopportuni sensi di colpa:
dicono il vero le torri distrutte, l’attentato
allo stile di vita occidentale;
l’impero del male nelle nostre menti
ha insinuato i suoi tentacoli, vaneggiano i soldati
-ma i più deboli soltanto, i più vili -.
E s’il vous plait quell’orrendo aggettivo
“neocoloniale” – che suona così male –
lasciamolo al trasporto populista dei degeneri
visionari pacifisti:
a noi il lavoro sporco, a loro
questo infantile capriccio di rivendicare democrazia, pace
libertà e giustizia per tutti –troppo facile
lorsignori, troppo facile sbraitare, inorridire
e dopo l’orgia della piazza rincasare
nel tran tran del privato, accendere la luce elettrica,
nell’inverno il bruciatore del gasolio,
e sentire nel silenzio della sera l’acqua calda circolare,
gorgogliando nelle tubature:
a noi le porcherie per guadagnare un consenso popolare
risicato, a loro l’aureola dei giusti,
il ventre pieno per poter gridare
il loro disprezzo.
Ma qui s’arresti
il delirio e si torni alla ragione,
si calcoli la proporzione della colpa, ci si guardi
negli occhi, sapendo di sapere,
si riveda previsioni e soluzioni e si decida
la viltà d’un declino o la dignità d’una fine.
E questo tirare Dio per la manica,
come fosse l’arbitro delle nostre sciagure, lasciamolo ai filosofi
-l’abbiamo costruito, il nostro dio, nei secoli,
stupendamente funzionale ad una logica
imperial-anarco-liberista,
ed è parte di noi, così ben mascherato
nelle pieghe del rimorso collettivo
che tutto amalgama sapientemente,
come un computer infallibile,
già programmato
per i secoli a venire.
*
Gianmario LUCINI
A FUTURA MEMORIA
(poesie di un decennio disumano)
EDIZIONI CFR (Piateda, 2011)
A cura di Marco Ratto