«Queste persone che si ignorano stanno salvando il mondo».
Dubito che Gino Bartali conoscesse questo verso, con cui Jorge Luis Borges concludeva la poesia I giusti. E dubito anche che conoscesse l’antica leggenda ebraica dei trentasei saggi, contenuta nel Talmud, a cui si ispirano le parole dello scrittore argentino.
Certo è, però, che sia Borges che la saggezza antica sembrano aver fotografato – senza poterla conoscere – la vicenda di quell’uomo col «naso triste da italiano allegro» (Paolo Conte) che, tra il settembre ed il dicembre del 1943, contribuì a salvare circa ottocento famiglie ebree dalla deportazione nei campi di concentramento in Germania.
Secondo il Talmud, infatti, le sorti dell’umanità sono legate alla presenza di trentasei giusti che, volta per volta, continuano a testimoniare con la loro opera che si può essere uomini anche nel momento in cui il mondo sembra sprofondare nel vizio e nella barbarie. È per amore loro che Dio, nei momenti oscuri della storia, non decide di dare il via al cataclisma finale e spazzar via il genere umano dalla faccia della terra. Con la loro ferma dedizione al bene, infatti, quei trentasei saggi – che non sanno niente l’uno dell’altro, né sanno di essere al centro dell’attenzione di Dio – dimostrano che non tutto è ancora perduto, e che rimane la possibilità, per gli uomini, di redimersi dalla corruzione, dalla violenza e dalla sopraffazione. È per questo motivo che Borges scrive che queste persone, senza saperlo, stanno salvando il mondo.
E certo, per noi uomini moderni – ed anzi post-moderni –, nati all’indomani della grande rivoluzione illuministica, è molto difficile dar credito a questa leggenda antica. Però, anche volendo dar fondo a tutto il disincanto ed a tutta la freddezza razionale consegnataci da tre secoli di razionalismo, non possiamo fare a meno di pensare che effettivamente Bartali, trasportando nascosti nella sua bicicletta i documenti che avrebbero permesso a quegli ebrei di non finire in un campo di concentramento, ci ha dimostrato che si può essere uomini anche quando si è sprofondati nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale.
Ed è per questo motivo – per questo suo saper pensare a chi aveva intorno anche nel momento in cui tutto avrebbe potuto suggerirgli di pensare per sé, specie considerando i rischi a cui andava incontro – che sì, in un certo senso si può dire che Gino Bartali dimostra che per davvero agiscono, nella storia, quei trentasei giusti che, senza saperlo, salvano il mondo.
E che dire, dunque, del fatto che lo Yad Vashem – il memoriale ufficiale delle vittime dell’Olocausto – lo ha proclamato Giusto tra le Nazioni? Semplicemente che c’è da augurarsi che ci siano sempre, nella storia, uomini come Gino Bartali. Perché sarebbe bello immaginare un mondo senza violenza né sopraffazione. Ma, dal momento che sperare questo è sperare nell’impossibile, c’è bisogno di persone pronte a dimostrarci che può esserci speranza anche quando tutto, intorno, sembra crollare.