Per un mese e 10 giorni il sottobosco del più becero giornalismo italiano ha potuto scatenarsi in danze tribali, voli pindarici e rumorose fiere della porchetta, ricamando, sparlando e sputando gossip al gusto di veleno sulla presunta fuga di Sarah Scazzi. Una ragazzina come tante altre, con i capricci, gli scleri ed i problemi di tutte. Una ragazzina che come tutti noi ha un account su facebook.
Palare dei social network va di moda. Parlarne male e a vanvera fa evidentemente vendere i giornali.
E così Sarah, strangolata prima e violentata poi da uno zio che dovrebbe essere in questo preciso istante colpito da un fulmine in mezzo agli occhi, è stata dipinta da persone che i giornali non dovrebbero nemmeno avere la possibilità di venderli (ed invece li scrivono) come una piccola e ribelle inquieta ragazzina che progettava da mesi la sua fuga con un tizio conosciuto chattando su Facebook, che sceglieva la sua foto migliore, quella che sarebbe stata utilizzata per le ricerche, che voleva solo andare via da una realtà opprimente che la soffocava e reprimeva.
In parte avevano ragione. Probabilmente Sarah voleva fuggire da una situazione dolorosa e raccapricciante che nessuno a nessuna età dovrebbe vivere. Una situazione tremenda e imbarazzante sempre ma che a 15 anni, uccide.
E infatti Sarah è morta.
E sua madre ha scoperto come e perchè in diretta a Chi l’ha Visto. Davanti agli occhi pietosi e falsi di una prostituta (e ancora una volta, con tutto il rispetto per la categoria) dell’informazione, che aveva la stessa identica espressione di Barbara D’ Urso quando annuncia che un cane si è fatto cento chilometri per tornare sulla tomba del padrone.
E che ha concluso una trasmissione che, ci tengo a precisare ed ho testimoni, mi sono trovata a guardare per caso, con la frase “a noi tutti ci dispiace molto”.
Certo che sì. Orrido zio, non dovevi confessare, non così presto. Così questi aberranti parolieri avrebbero potuto mungere la vacca grassa ancora un po’.
Certe notizie di cronaca comunque, riescono sempre ad uccidere la mia parte migliore. Quella liberale, quella democratica. Quella pura. Quella parte che crede che in fondo tutti gli uomini siano buoni. Che il pentimento e il recupero non siano utopie. Che tutti possano cambiare e espiare anche gli atti più infami e raccapriccianti.
Quelle notizie mi spingono a pensare che in fondo i ceppi, la gogna, l’esposizione nella pubblica piazza, ed il rilascio del corpo del reo ai parenti della vittima non siano poi tecniche così medioevali, crudeli o arcaiche.
Il mio cervello, la mia intelligenza, il mio buon senso e il mio substrato culturale rifiutano la pena di morte istituzionale. Però quella riguarda gli uomini e in questo caso temo si parli di altre creature.
Vedete, i mostri non muoiono così sic e simpliciter.
Devi infilargli un paletto nel cuore, sparargli una pallottola d’argento, decapitarli, esporli alla luce del sole. O più semplicemente per uccidere i mostri che popolano i nostri incubi basta aprire gli occhi o accendere la luce.
Per questo mostro qui, temo che non basterà.