Sardegna, maggio 2014. La notizia del vitalizio erogato a soli 41 anni all’ex presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo, rilanciata dai media nazionali, oltre a provocare una forte indignazione tra la gente, scatena una battaglia tra testate sarde sulla paternità del presunto scoop. Se non bastassero le polemiche sul presente, uno dei decani del giornalismo sardo rispolvera anche il passato e ricorda di aver parlato già 15 anni fa dello scandalo dei vitalizi, meravigliandosi che né i colleghi né i lettori si ricordino di quella battaglia di civiltà sui costi della politica avvenuta nel lontano 1999. Ma è pensabile oggi che qualcuno si ricordi dopo tanti anni quello che ha scritto un giornale cartaceo, visto che per sua natura già dal giorno dopo la sua pubblicazione un quotidiano è buono soltanto per incartare il pesce? O tutt’al più per lavare i vetri? E’ pensabile parlare ancora di scoop e “buchi” in questo momento di transizione dal giornalismo analogico al giornalismo digitale? O forse si dovrebbe più parlare di collaborazione e condivisione tra colleghi? Probabilmente qualche risposta a tali interrogativi è stata fornita dal giornalista romano del Gruppo Espresso Federico Badaloni, architetto dell’informazione, durante la lezione sul giornalismo digitale e sull’architettura del web tenutasi sabato mattina a Cagliari su iniziativa dell’Ucsi Sardegna nell’ambito dei corsi di formazione continua organizzati dall’Ordine dei Giornalisti della Sardegna. Lezione che segue quella tenuta lo scorso anno durante il corso di formazione Ucsi di Fiuggi e che, dovutamente elaborata, masticata e digerita, provo a riproporre in questa sede.
La svolta del giornalismo digitale
Giornalismo digitale, ha spiegato Badaloni, giornalista, blogger e presidente di Architecta, la Società italiana di architettura dell’informazione, non vuol dire solo imparare a scrivere un titolo per il web, utilizzare un video o un audio per raccontare una storia o avere un account su Facebook o Twitter su cui postare i propri articoli. Oppure sfornare un paio di hastag da diffondere sui social network. Il giornalismo digitale è un profondo cambiamento culturale nell’approccio a questa professione. Oggi, con l’avvento di internet, i fruitori dell’informazione sono sempre meno disposti a dare ai giornalisti una delega in bianco per stabilire quali notizie sono importanti e quali non lo sono, visto che quelle stesse notizie possono trovarle in mille altri posti. Lo schema chiuso del giornale cartaceo, dove il direttore sceglie la gerarchia delle notizie e le controlla preventivamente in base ai suoi parametri (più o meno esplicitamente determinati dall’editore) non regge più. Oggi l’esigenza è quella di un giornalismo dinamico, in movimento, comunicativo e dialogante. Un giornalismo digitale che, attraverso la rete e tutti i suoi variegati collegamenti, riesca a dare agli utenti un’informazione completa e non parcellizzata.
La differenza è sostanziale. Epocale. Come ha spiegato nel susseguirsi delle tante slides Federico Badaloni, la differenza tra giornalismo analogico e giornalismo digitale è la stessa che c’è tra il vedere solo un piccolo particolare di una storia e il vederla invece nella sua interezza, contestualizzarla, raccontarla per intero. Se i vecchi media, per la loro conformazione, riescono a fissare solo una piccola parte della realtà, limitata nello spazio di un giornale di carta e nel tempo di un servizio del tg, oggi internet, con la sua fitta rete di collegamenti consente di raccontare la storia nella sua interezza e in tutte le sue sfaccettature. E di fissarla nel tempo, renderla immutabile. E’ molto riduttivo pensare che nel web l’informazione cambia soltanto perché esiste la multimedialità. Internet – ha spiegato Badaloni – si può visualizzare come un grafo, cioè un insieme geometrico di nodi e archi, dove i nodi sono le pagine web mentre gli archi sono i link, i collegamenti tra le pagine. E in questa figura geometrica i nodi e le pagine hanno la stessa importanza dei collegamenti.
Fuor di metafora e scendendo nel concreto: per raccontare in tutti i suoi aspetti una vicenda, politica economica o di cronaca, sarebbe necessario mettere in fila tutte le edizioni dei quotidiani che se ne sono occupate o tutti i tg che hanno trattato quell’argomento. Un lavoro che richiederebbe una enormità di spazio e tempo. Anzi: sarebbe praticamente impossibile perché i giornali sono già stati usati per incartare il pesce e i tg, una volta terminati, sono spariti nell’etere per dare tempo e spazio ad altri programmi.
Nella Rete, invece, tutto questo è possibile.
Attraverso un uso corretto dei link si può dare vita a quel grafo, ricostruire storie e vicende complesse e fornire agli utenti un’informazione il più possibile completa.
Steve Jobs e tanti altri personaggi rivoluzionari (per non andare lontano il nostro Niki Grauso) sono sempre stati definiti visionari.
Avere una visione complessiva aiuta a fare meglio le scelte e a contestualizzarle. Viceversa la persistente frammentazione delle notizie non consente di capire bene quello che sta succedendo, ci rende cittadini inconsapevoli e dunque deboli.
Qualche mese fa Roberto Saviano,parlando in Sardegna della mafia, sottolineava il fatto che se si riuscisse a collegare singoli episodi criminali apparentemente slegati fra loro, i disegni della mafia e della criminalità organizzata sarebbero molto più comprensibili e prevedibili. Sabato Badaloni ha ricordato una episodio: una giornalista che aveva iniziato ad annotare i delitti perpetrati nel suo paese e le loro modalità di esecuzione ad un certo punto è stata chiamata a collaborare con le forze dell’ordine in quanto, con il suo lavoro, era diventata un’eccezionale banca dati per poter effettuare i collegamenti fra i singoli episodi deluttuosi.
Questo per dire che noi utenti dell’informazione (e in generale utenti del mondo come ce lo vogliono proporre) siamo ancora come gli operai di una fabbrica dell’Ottocento: compiamo meccanicamente un’operazione ma non siamo messi in condizione di capire a cosa serve questa azione. Siamo a conoscenza soltanto di una piccola parte di un tutto. Ed è una cosa terribilmente frustrante.
L’importanza di un nuovo linguaggio
“Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita“, diceva Federico Fellini.
- Scegliere bene gli argomenti, visto che sono destinati a vivere nel tempo;
- Scegliere il linguaggio;
- Essere trasparenti e corretti;
- Curare i collegamenti tra le notizie per dare vita a un quadro complessivo sempre più chiaro e completo.
Questi, ha spiegato Badaloni, gli obblighi per un giornalista digitale. Che, ache se con modalità diverse, deve continuare a fare tutto quello che ha sempre fatto un giornalista: SELEZIONARE, PRODURRE, CURARE, CORRELARE E ORDINARE.
Il giornalista è tale se trova la notizia e la racconta. Ma lo è anche e soprattutto quando correla questa notizia ad altre precedenti, crea percorsi e collegamenti, costruisce, spiega. Cura quella notizia. “Se prima il compito del giornalista finiva quando metteva il punto alla fine del suo articolo – ha aggiunto – adesso quando mette quel punto il suo lavoro sta cominciando”.
Una deontologia 2.0
Ma quel che cambia profondamente con il giornalismo digitale è soprattutto lo spirito con cui si affronta questa professione.
Il giornalista che pensa di trasmettere dal suo pulpito le notizie imposte o consentite da un editore e che in questo modo spera di condizionare i lettori o gli ascoltatori è ormai un reperto del passato, un dinosauro.Viceversa il giornalista 2.0 deve puntare sull’interattività, sul dialogo, sulla libertà, sulla condivisione e deve conquistare con queste capacità la fiducia del suo pubblico.
Badaloni, a proposito della Rete, ha ribadito il concetto di economia dell’abbondanza: in un’epoca in cui è fin troppo facile l’accesso ai mezzi di produzione e diffusione delle notizie il giornalista deve essere un filtro, garantire la veridicità dell’informazione, mettere a disposizione la sua esperienza, il fatto che per tanti anni si è occupato di quelle materie e fornire ai lettori quella visione di insieme che la cultura digitale impone. Solo in questo modo potrà guadagnare credibilità, sul campo e giorno dopo giorno, senza potersi più cullare sugli allori e fare scudo della credibilità della testata per cui lavora. Come dice Grillo: oggi uno vale uno.
Ecco perché il giornalismo digitale, se ben compreso e assimilato, rappresenta veramente una grande sfida per una categoria che altrimenti rischia di sparire. Una sfida anche sotto il profilo dell’etica e della deontologia. Perché in un contesto in cui mutano i rapporti con gli utenti dell’informazione devono necessariamente mutare anche quelli tra gli stessi giornalisti: i colleghi, anziché essere visti come nemici a cui dare un “buco”, dovranno piuttosto essere trattati come una risorsa da valorizzare (la deontologia impone una leale collaborazione tra giornalisti).
La posta in gioco è grande e importante: ricercare e raccontare soltanto la verità sostanziale dei fatti senza travisarli e mistificarli. E in questo modo contribuire a svelare fatti sempre più complessi che, da sempre, il sistema di potere cerca di frammentare per rendere incomprensibili alla massa. Una mission che assomiglia molto alla ricerca di una vera libertà.
Cliccando su uno dei seguenti pulsanti sociali è possibile scaricare una selezione delle slide che Federico Badaloni ha presentato a Cagliari.
https://www.dropbox.com/s/mloz9584dw0pimx/Take%20Away.pdf