Oggi, giovedì 4 dicembre, si tiene la “Giornata della virtù civile – LA SFIDA DELL’EQUITÀ FISCALE”: questo vuol dire che per tutta la città di Milano si terranno convegni quali “LE BELLE TASSE”, “LE TASSE PER ME”, “SCATTI DI LEGALITÀ: I TANTI RIS-VOLTI DELLE TASSE”.
La ratio su cui è costruita questa importantissima giornata, di cui sentivamo senz’altro la mancanza, è la memoria di Padoa Schioppa che, pochi anni prima della sua morte, ci regalò il mantra politico che sembra aver guidato tutti gli ultimi governi: “Le tasse sono una cosa bellissima”.
L’Italia sa bene che, quando bisogna bluffare, come Sorrentino mette in bocca al protagonista del suo film “Le conseguenze dell’amore”, «il bluff dev’essere condotto fino in fondo, fino all’esasperazione. Non c’è compromesso. Non si può bluffare fino a metà e poi dire la verità. Bisogna essere pronti ad esporsi al peggior rischio possibile: il rischio di apparire ridicoli».
E l’Italia-per-bene non teme quindi di apparire ridicola a celebrare la bellezza delle tasse quando sempre più spesso vediamo imprese che chiudono non riuscendo a pagare gli oneri fiscali.
Non teme di apparire ridicola quando dà maximulte a fronte di centesimi di euro non versati.
Non teme di apparire ridicola quando imprenditori si suicidano o si danno fuoco fuori dalle sedi di Equita(g)lia, non potendo dar da mangiare alla propria famiglia, ma dovendo far ingrassare la classe politica.
Non teme di apparire ridicola ogni volta in cui assistiamo a scene pietose di servizi televisivi su persone costrette a viver come topi in ambienti malsani per risparmiare qualcosa da dover consegnare all’ incombente esattore.
Chi campa di tasse pagate da altri non ha il timore di usare la polverosa retorica che le tasse servano ai servizi di tutti, quando invece è sempre più lampante che al momento del bisogno il servizio non ci sia.
E allora, questo Stato, che ti costringe oggi a versare denaro in cambio della promessa di un servizio futuro NON CONCESSO a fronte del bisogno, appare piuttosto come un ladro, come un frodatore, come un socio occulto che senza lavorare un giorno partecipi al frutto del tuo lavoro, senza però assumersi la responsabilità di contribuire a pagare al momento opportuno, evadendo dai suoi doveri civici.
E allora, a questo Stato, che ci chiede di essere virtuosamente civili, che ci chiede di fare il nostro dovere di contribuenti, senza che sia lui a contribuire, che ci chiede di non essere evasori, di non evadere dal nostro dovere di pagare, quando è lui che evade dai servizi che promette di garantire, quando è quindi lui il primo evasore, e pure a questa Italia-per-bene che si fa bella appoggiando questo sistema di frode legalizzata (perché “sono tutti contribuenti con le tasse degli altri”), a QUESTO Stato, siamo NOI che chiediamo di pagarci le nostre tasse.
E lo faccia secondo “virtù civile”, ovviamente.
Andrea Inversini