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#GiornidiGiro | Mortirolo

Creato il 26 maggio 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

26 maggio, Passo del Mortirolo.

La processione alla salita. Questa è la parte quasi sacra del ciclismo. Il brusio della gente che sale a piedi, il rumore delle biciclette, mischiato ai pronostici, agli orari di passaggio. Gli zaini, i k-way perché non si sa mai, le barrette, le fette di torte avvolte nell’alluminio, i panini. L’essenza del ciclismo è qui, quando i ciclisti sono ancora lontani: gente che fa chilometri per una sola meta, un solo passaggio. Tutti lì, per lo stesso motivo. Una festa itinerante, un flash mob che nessun social potrebbe organizzare meglio. Questo è il ventiseiesimo tornante. Ce ne sono trentatrè. Trentatré curve a gomito che stracciano le gambe, ti spezzano all’improvviso. Se non mi ricordo male intorno al decimo tornante c’è il monumento a Marco. L’ho già fatta questa montagna. In un giorno d’agosto. Ne conosco già l’anima ombrosa, silenziosa e crudele.

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Marco” dice uno salendo al suo compagno, “perché vai così forte in salita? Per abbreviare l’agonia.” Parole di lui, del Pirata, che ora si recitano su questa montagna come una poesia, come una preghiera. Come se qui ci si potesse rivolgere a chi non c’è più perché questo asfalto chiazzato di ombra e di sole si tiene ancora nel cuore il passaggio delle sue ruote. Tornante dopo tornante. Marco. Questo silenzio è ancora tuo e lo sarà per sempre. Ventiseiesimo tornante e la gente aspetta con la solita pazienza. C’è questo sole che va e viene. Le nuvole grigiebianche, l’azzurro del cielo, una cima innevata in lontananza.

Un signore guarda il fondovalle con un binocolo. L’attesa. La corsa imbocca la salita, la quiete prima della tempesta. Il passaggio. Le urla che si mischiano alla fatica, al sudore, alle facce stravolte. Uno ad uno e per ognuno c’è un incoraggiamento. Crudeltà e tenerezza si mischiano, come sempre. Cattive le pendenze a ogni svolta, rincuoranti le parole che rompono il silenzio della montagna. Si parlano così, tifoso e ciclista, per un attimo. Si incontrano nel cuore di tutto, forse senza neanche saperlo. Per gli ultimi c’è qualche spinta. Due metri, tre. Cose che nelle retrovie non si devono demonizzare perché qualcuno, in bici, dice pure grazie, sorridendo. Essere irrispettosi è altro. Ma ci sono cose che si fanno fatica a spiegare nel modo giusto, senza fraintendimenti se non ci si è stati per un po’ in mezzo.

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Poi tutto finisce, l’incanto si rompe, resta quello silenzioso della montagna, qualche goccia di pioggia e poi di nuovo il sole. Profumo di bosco, rumore di ruscello nascosto tra gli alberi. E poi, scendendo, piccole mele acerbe nel sole di pomeriggio, un asinello curioso.
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Su un cartello c’è una freccia con scritto “Pizzocheri
Al mio nonno piacevano tanto. E anche a me. Gli piaceva venire qui e diceva che le mele della Valtellina erano le più buone.
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Tutti i luoghi hanno un’anima.
Il ciclismo la attraversa, inconsapevolmente. Li scava con il sacrificio. “Valtellina chiara, Valtellina scura”. Scorrono i terrazzamenti delle viti nell’ultimo abbagliante sole. “Valtellina chiara, Valtellina scura”. C’è quest’aria fresca che porta il profumo di tigli. Riposa di nuovo la montagna tra le fronde dei suoi boschi, si tiene di ricordo le scritte di vernice fresca che vanno a far compagnia a quelle indelebili, che hanno resistito agli anni. Come i ricordi belli. La strada non li cancella e non li sostituisce. Li tiene in silenzio. Stretti a sé.
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