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Assoldata nuovamente la coppia Binoche-Lavant, entrambi perfettamente calati nei loro ruoli, il buon Leos decide di sfrondare tutte quelle ramificazioni che nel precedente film facevano allontanare il discorso dal suo nocciolo, quindi nessuna contaminazione di generi ma occhio di bue ben puntato sul senzatetto Alex e sulla misteriosa Michèle con problemi alla vista.
Questa restrizione argomentativa aumenta sensibilmente se si osserva il setting principale.
Un ponte è di per sé una porzione di spazio che collega, che riduce le distanze, parimenti è un mondo sospeso, senza fondamenta, e mai come in questo caso diventa a-luogo, posto-non-posto, con il Pont-Neuf in ristrutturazione anche la città, una Parigi immonda (“lasciamo che Parigi marcisca!” grida Michèle alla fine) ottimamente delineata nella sequenza d’apertura, resta fuori pur aleggiando con il suo corpo caotico.
Se il concentrato sentimentale diverge da Mauvais sang, su un aspetto invece le due pellicole convergono in maniera sovrapponibile: niente belle statuine, niente facilonerie da soap opera, qui si parla di amore sofferente e di sofferenze d’amore fra due reietti, due scarti della società, due macerie di se stessi.
Eppure, come sottolineato dalla recensione su Cinemasema (link), nell’osservare le disavventure dei protagonisti sullo schermo si percepisce una falsità di fondo, e tale percezione non va presa in maniera negativa, piuttosto come un chiaro intento di intensificare il falso; ciò porta in una direzione che oltre ad essere un senso unico è quasi un vicolo cieco: la mano di Carax si fa sentire e incide pesantemente nell’economia del film tanto da far partorire una domanda: si tratta di compiacimento o meno?
Certo, ci sono sequenze degne del veicolo artistico di cui fanno parte, difficile dimenticare le esplosioni dei fuochi d’artificio mentre i due si rincorrono sul ponte, e altrettanto non si può non ammirare l’inventiva di uno sci acquatico sulla Senna o della porticina del Louvre notturno che Tsai Ming-liang riproporrà nel suo Face (2009), per non dire poi di una miriade di trovate che confermano l’eccentrica visionarietà del regista, su tutte la riduzione fisica dei due innamorati in scala all’immondizia che li circonda (foto). Ma alla domanda di poco fa credo che sia inevitabile rispondere con un sì, o almeno con: un po’. Carax si specchia nel suo estetismo, è un fenomeno ma tende a sovrabbondare, e quando si mettono da parte tutti gli orpelli superflui, il testo che rimane è parecchio scarno, risibile, volatile.
Flop gigantesco ai botteghini se rapportato ai costi di produzione, Gli amanti del Pont-Neuf è manifesto corretto del cinema caraxiano: ricchezza anche quando si parla di povertà, fastosità anche se il set è uno spoglio ponte in rifacimento, sfoggio anche se i personaggi non hanno niente.
Ma se si parla di Amore che succede?
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