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Gli antenati di Renzi

Creato il 09 dicembre 2013 da Casarrubea
Matteo-Renzi

Matteo-Renzi

I risultati sembrano non lasciare dubbi. Renzi, con il suo 68% dei consensi, ha superato di gran lunga i suoi competitor ed è il vincitore delle primarie dell’Immacolata che lo hanno visto in lizza contro Cuperlo e Civati. Pompato da tempo dai mass-media Renzi ce l’ha fatta alla grande. Dei tre il solo sconfitto è il povero Cuperlo perché, non si sa come e perché, è stato etichettato come il rappresentante della vecchia nomenclatura un tempo del Pci, poi del Pds e quindi del Ds e del Pd. La sua colpa è che è rimasto al gioco, cioè alla trappola che gli hanno preparato e non ha fatto nulla per non esserne preda. Civati, da quelli del suo partito, al contrario, è stato preso sotto gamba, perché a loro giudizio deve ancora fare molta gavetta. Sempre che resisterà.

Per i disattenti, Cuperlo ha rappresentato il segno della continuità dei vecchi dirigenti che avevano conosciuto direttamente, se non proprio Gramsci o Togliatti, certamente Longo e Berlinguer, quando il pane si chiamava pane e Occhetto non aveva ancora fatto il miracolo della Bolognina, per rimediare, a modo suo, alla caduta del muro di Berlino e alla morte del socialismo reale. Ma qualcuno si chiese allora se quello irreale, delle passioni romantiche e dei sogni, la cosiddetta via italiana al socialismo, meritava di non finire nell’immondezzaio in cui fu poi buttato?

Il simbolo della falce e martello piano piano è scomparso dagli emblemi della metamorfosi del vecchio Pci, dando prova di una rottamazione che certamente non ha aspettato Matteo Renzi per compiersi. Tant’è che nel passaggio della Quercia con ai piedi il simbolo del partito che fu di Togliatti, a quella più innocua con la rosa ai piedi, ci fu un primo cambiamento genetico di quelli che avevano ancora il senso di colpa del comunismo reale e auspicavano persino la rimozione del riferimento a una sia pur vaga sinistra. Così si passò dal Ds, il partito dei democratici di sinistra, al Pd. Un partito nel quale non c’è proprio traccia di sinistra, ma un generico riferimento al partito democratico americano, che da noi è di origine veltroniana.

A quanto pare il popolo benpensante di questo partito, dopo che sono stati aboliti i simboli, vorrebbe rimuovere anche le facce, per arrivare a un partito che non è – si badi bene – quello di Renzi, ma quell’altro che si avrà quando in Italia i moderati staranno tutti da una parte e i conservatori si metteranno da un’altra, dando vita a un bipolarismo perfetto. Di sinistra neanche a parlarne. Altro che Nanni Moretti quando auspicava che D’Alema dicesse qualcosa di sinistra! E come potremmo sperare che la dica Renzi, nuovo segretario del Pd?

Sotto gli occhi abbiamo il fatto che nel travaglio politico del trapasso di questo momento storico, Renzi sia solo un accidente necessario. Non è di tutti avere consapevolezza dei propri limiti. Il nostro sindaco fiorentino ne è proprio sprovvisto. Dobbiamo dire, perciò, che i suoi padri illustri, Franceschini, Prodi, Bersani e Bindi, e via cantando, hanno sognato fino a ieri un partito di quella realtà sociale che la crisi globale dell’ultimo ventennio ha ridotto ad area indefinita di nuovi ceti popolari. Alle prese, essi stessi, con gli effetti di questa crisi, sono rimasti incapaci di dare un seguito alle continue pressioni della realtà nazionale. In tale loro inerzia si è fatto strada, dentro il Pd,  un gruppo rampante di nuovi conquistadores, che fingendo di parlare un’altra lingua, diversa da quella dei loro padri, si sono improvvisati taumaturghi, promettendo miracoli a destra e a manca.

Ora una cosa è certa. L’avrebbe detta ripetutamente a tutti noi il poeta dialettale Ignazio Buttitta: potete mettere un popolo in galera, lo potete spogliare, tappargli la bocca, è sempre libero; gli potete togliere il lavoro, il passaporto, la tavola dove mangia, il letto dove dorme è sempre ricco. Ma se gli togliete la lingua adottata dai padri, è perduto per sempre. Ed è proprio questo che mi ha impressionato molto del discorso fatto da Renzi, dopo la sua vittoria. Noi non vogliamo più sentirci raccontare la storia di chi ci ha preceduto, ha detto. Vogliamo costruire noi, la nostra storia. Molto giusto. Chiunque ne ha diritto e sarà valutato alla prova dei fatti. Intanto vorremmo chiedergli: come intende lottare contro il sistema internazionale del denaro, lui che nelle precedenti primarie ha tenuto una riunione con alcuni padroni del mondo finanziario? Quali politiche intende attivare per tutelare il nostro ambiente naturale e lottare contro l’inquinamento? Come vuole salvaguardare il diritto all’acqua pubblica? E, rispetto alle nuove necessità della comunicazione planetaria di internet, quali leggi intende proporre per consentire a tutti l’accesso libero e gratuito al web, ai socialnetwork e alla semplice informazione? Insomma come intende sostituire alla cultura dell’usa e getta e dello scarto, propria dei governi dell’ultimo ventennio, una cultura dell’inclusione? Perché questi sono alcuni dei problemi veri e non quelli dei bisnonni del Pd.

Giuseppe Casarrubea


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