Basato sull’omonimo romanzo di Patricia Highsmith, I Due volti di Gennaio ne è l’adattamento cinematografico a tinte
fosche, in cui sono evidenti volute atmosfere hitchcookiane. Interpretato da Viggo Mortensen, Kirsten Dunst e Oscar Isaac,
il film vede l’esordio alla regia dello sceneggiatore iraniano Hossein Amini.
Al centro della pellicola una coppia di
americani che si recano ad Atene apparentemente per trascorrervi un indefinito
periodo di vacanza, in realtà si tratta di un broker truffaldino e della sua
giovane moglie in fuga, che si imbattono nell’ambigua guida turistica Rydal, un
oriundo americano, che si trasforma in un complice e fortuito compagno di
viaggio, mantenendo quella vaga aria sospetta.
La trama si snoda sul tessuto della fiducia,
in cui i tre protagonisti sembrano muoversi inseguendo ognuno il proprio
interesse quasi a discapito dell’altro. Una fuga che porta lo spettatore dalla
Grecia a Creta, fino alle coste turche di Istanbul, e si trova proiettato tra
lingue incomprensibili e caratteri sconosciuti, restituendo quella sensazione
di estraneità e scoperta di panorami orientali. Paesaggi esotici, ritmi lenti e
qualche colpo di scena danno a questo film un retrogusto noir di metà anni ’60,
epoca in qui è ambientata la vicenda, ricordando ai cultori del cinema echi di L’uomo che sapeva troppo.
Un ménage à trois morboso e affascinante, con
un Viggo Mortensen distante dal fascino invincibile da Aragorn della trilogia de Il
Signore degli Anelli, invecchiato certo, ma coriaceo, col volto solcato
dalle rughe dello spietato uomo d’affari che fugge i suoi errori cercando
rivalsa e vendetta, e trascinando con sé una donna frustrata che ha nostalgia
di casa e di quel lusso diventato ormai solo un lontano ricordo, interpretata
da una Dunst che, a poco più di trent’anni, porta già i segni di un viso che
appare in video botulinico e plasticoso come una Barbie.
Pur non reggendo sempre la tensione, il film
tuttavia non annoia, e ci mostra un viaggio di redenzione e perdono, che
allontana finalmente Kirsten Dunst dalle commedie romantiche e dalla trilogia
blockbuster de L’Uomo Ragno, in cerca
di un ruolo più maturo à la Naomi Watts, per dimostrare di non essere più la
baby attrice che esordiva negli anni ’90 con un film di Scorsese e di saper
andare oltre con un film che sa a tratti di pellicola indipendente.
Magazine Cinema
Gli echi hitchcookiani de “I Due volti di Gennaio”
Creato il 12 ottobre 2014 da Marianocervone @marianocervone
Basato sull’omonimo romanzo di Patricia Highsmith, I Due volti di Gennaio ne è l’adattamento cinematografico a tinte
fosche, in cui sono evidenti volute atmosfere hitchcookiane. Interpretato da Viggo Mortensen, Kirsten Dunst e Oscar Isaac,
il film vede l’esordio alla regia dello sceneggiatore iraniano Hossein Amini.
Al centro della pellicola una coppia di
americani che si recano ad Atene apparentemente per trascorrervi un indefinito
periodo di vacanza, in realtà si tratta di un broker truffaldino e della sua
giovane moglie in fuga, che si imbattono nell’ambigua guida turistica Rydal, un
oriundo americano, che si trasforma in un complice e fortuito compagno di
viaggio, mantenendo quella vaga aria sospetta.
La trama si snoda sul tessuto della fiducia,
in cui i tre protagonisti sembrano muoversi inseguendo ognuno il proprio
interesse quasi a discapito dell’altro. Una fuga che porta lo spettatore dalla
Grecia a Creta, fino alle coste turche di Istanbul, e si trova proiettato tra
lingue incomprensibili e caratteri sconosciuti, restituendo quella sensazione
di estraneità e scoperta di panorami orientali. Paesaggi esotici, ritmi lenti e
qualche colpo di scena danno a questo film un retrogusto noir di metà anni ’60,
epoca in qui è ambientata la vicenda, ricordando ai cultori del cinema echi di L’uomo che sapeva troppo.
Un ménage à trois morboso e affascinante, con
un Viggo Mortensen distante dal fascino invincibile da Aragorn della trilogia de Il
Signore degli Anelli, invecchiato certo, ma coriaceo, col volto solcato
dalle rughe dello spietato uomo d’affari che fugge i suoi errori cercando
rivalsa e vendetta, e trascinando con sé una donna frustrata che ha nostalgia
di casa e di quel lusso diventato ormai solo un lontano ricordo, interpretata
da una Dunst che, a poco più di trent’anni, porta già i segni di un viso che
appare in video botulinico e plasticoso come una Barbie.
Pur non reggendo sempre la tensione, il film
tuttavia non annoia, e ci mostra un viaggio di redenzione e perdono, che
allontana finalmente Kirsten Dunst dalle commedie romantiche e dalla trilogia
blockbuster de L’Uomo Ragno, in cerca
di un ruolo più maturo à la Naomi Watts, per dimostrare di non essere più la
baby attrice che esordiva negli anni ’90 con un film di Scorsese e di saper
andare oltre con un film che sa a tratti di pellicola indipendente.
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