Primarie che fai, batosta che prendi. Il leit motiv democratico si ripete anche a Genova: a vincere è Marco Doria, candidato indipendente sostenuto da Nichi Vendola. A pagare dazio le due candidate ufficiali del PD: Marta Vincenzi, sindaco uscente, e Roberta Pinotti, spinta dall’establishment.
La Vincenzi paga la pessima gestione dell’alluvione che le è costata anche parte dell’appoggio del partito che ha puntato su Roberta Pinotti, parlamentare genovese, che però non è stata in grado di scrollarsi di dosso la patina di candidata di sistema.
La vittoria del professore è stata netta: 46% contro il 27,5% della Vincenzi e il 23,6% della Pinotti. A preoccupare è anche l’affluenza, in picchiata rispetto al 2007 quando votarono 37 mila affiliati: l’asticella si è fermata a 22 mila.
Il primo cittadino commenta:
È un terremoto politico, che non rappresenta un voto ideologico né un voto che unisce la città. è un voto contro la continuità di un partito che ha rappresentato il perno della maggioranza a Genova. Bersani non sarà felice.
Doria ha iniziato la corsa solo tre mesi fa, inserendosi tra le due Erinni che si battagliavano nei circoli. È bastato presentare un programma fondato sull’alternativa, sul pragmatismo e sulla discontinuità rispetto alla linea ufficiale del PD per vincere. Il candidato sindaco esprime la sua soddisfazione:
Non è successo nulla, l’impegno deve continuare. Mi aspettavo una buona risposta, non così estesa. Credo che la serietà della mia proposta abbia pagato. A fare la differenza è stato un modo diverso di porgersi nei confronti dei cittadini, che hanno bisogno di una politica diversa da quella che hanno visto negli ultimi anni. Non è un’onda lunga che arriva da Milano, è qualcosa che c’è nel Paese, e il centrosinistra ha il dovere di percepirla.
Genova non cambierà dopo questa notte. Non ho mai promesso rivoluzioni, mi limito a promettere serietà, credo che il mio punto di forza sia proprio questo. A questo punto l’entusiasmo potrebbe essere cattivo consigliere.
È riduttivo parlare di una sconfitta del Pd. Nei circoli democratici ci sono andato, ho ascoltato i militanti. Loro non sono stati sconfitti. A perdere, forse, sono le logiche di partito e delle tessere, che sono un’altra faccenda. Apro un problema politico nel Pd? Non credo di essere stato io. C’era già, a livello di gruppo dirigente.
Il più schietto è Marco Tullo, deputato e segretario regionale:
Abbiamo perso ed è un risultato che deve aprire una riflessione serie, anche nazionale. Uno tsunami politico. Purtroppo non esagero.
La questione è politica è seria. Quasi sempre il candidato ufficiale del PD è uscito sconfitto dalle primarie. Vendola e Pisapia non sono casi isolati e se De Magistris avesse corso anche per le primarie a Napoli avrebbe vinto pure quelle.
Fuori dai palazzi è chiaro che i militanti poco digeriscono la silenziosa genuflessione a Monti, i vertici nei tunnel dell’ABC, l’adesione ad un governo tecnico di destra che non dà nulla in cambio ai sinistrorsi.
Il senso di responsabilità dimostrato nell’aderire al governo tecnico pur avendo in mano la vittoria nelle elezioni sta avendo un declino costante verso l’inciucio. Questo potrebbe concretizzarsi nell’immediato in una legge elettorale ancora peggiore dell’attuale e in futuro nel ritorno della DC sotto la guida di Passera per le prossime elezioni (PDL, Terzo Polo e chi ci sta nel PD tutti insieme appassionatamente).
Se negli organi ufficiali la linea del PD rimbalza costantemente tra Margherita e DS, tra democristiani e socialisti/comunisti, nel territorio l’idea è chiara: il PD deve essere un partito di sinistra, preferibilmente alleato con Di Pietro e Vendola che, se si svolgessero le primarie per il candidato premier, sarebbero i favoriti.
Nel 2008 sotto Veltroni, il PD presentò un programma praticamente identico al PDL. Ora si batte per le liberalizzazioni che non sono propriamente qualcosa di sinistra. La via tracciata è quella che porta al suicidio, bisogna vedere se saranno in grado di accorgersene e virare, finché c’è ancora tempo.
Fonte: Corriere della Sera.