Di Gianni Pardo il 17 ottobre | ore 08 : 24 AM
L’indignazione è un sentimento nobile. È il riflesso emotivo, l’ira che un onest’uomo può sentire di fronte alla patente ingiustizia. Chi si indigna è contemporaneamente un uomo morale e un uomo di cuore.
Questo giudizio tuttavia presuppone che l’occasione sia plausibile. Coloro che in certi quartieri si indignano perché i carabinieri vogliono portar via un ladro, e cercano magari di impedirlo, non possono invocare a loro scusante nessun nobile sentimento: l’arresto non è un fatto ingiusto e la loro collera fa anzi pensare che reclamino un assurdo diritto al furto.
Sabato il mondo è stato testimone, in centinaia di città, della protesta degli indignados (pronunciare indig-nados) e per comprenderli ci si deve chiedere se la loro rabbia sia motivata da un fatto oggettivamente ingiusto o se essa dipenda da una falsa rappresentazione della realtà.
Leggendo i titoli dei giornali, sembra che questi giovani protestino contro la crisi economica, contro le banche, contro l’alta finanza, contro i governi e contro la disoccupazione giovanile. Si lagnano insomma di uno stato di cose che per loro, come per molti altri, è effettivamente sgradevole, ma la cui “ingiustizia” deve essere dimostrata. Può infatti essere sgradevole trovarsi sotto la pioggia senza un ombrello ma la pioggia in sé è una benedizione.
Se fosse dimostrato che i governanti hanno provocato la crisi economica per guadagnarci, la protesta sarebbe giustificata: ma essi non ci hanno guadagnato nulla e anzi ne sono danneggiati. Obama e Berlusconi probabilmente non saranno rieletti proprio a causa della crisi. Anche le banche sono state duramente colpite. La Lehman Brothers è addirittura fallita e altre hanno evitato questa fine ingloriosa solo perché sostenute (a malincuore) dallo Stato. Anche ad ammettere che, cosa strana, tutti i governi di tutto il mondo si siano sbagliati contemporaneamente, l’errore non è un’ingiustizia. E nessuno dice che gli indignados, se fossero stati al governo, avrebbero fatto di meglio.
In realtà molti giovani protestano contro le banche non perché saprebbero indicare una migliore politica economica da seguire ma perché le vedono come il forziere dello zio Paperone. Un posto in cui c’è molto denaro mentre loro non ne hanno. Anche se poi uno si chiede chi gli paga il viaggio per Roma. In realtà le banche servono all’economia e, con tutti i loro difetti, se non ci fossero bisognerebbe inventarle.
Quanto al protestare perché un altro ha ciò che noi non abbiamo, è una stupidaggine. Da un lato l’esistenza dei ricchi dà fastidio soprattutto agli invidiosi, dall’altro – manuali di storia alla mano – l’umanità è più volte riuscita a rendere tutti poveri ma non è mai riuscita a rendere tutti ricchi. E perfino quando ha reso tutti miserabili, per esempio nell’Unione Sovietica, ha lasciato che i funzionari del Partito vivessero molto meglio degli altri: i pochi benestanti avevano l’unico merito di collaborare a tenere in piedi la dittatura.
Se avesse senso protestare contro qualcuno che ha molto denaro, per esempio perché è un eccellente calciatore o un grande architetto, avrebbe senso anche protestare contro Brad Pitt perché è bello e giovane. Non tutti abbiamo le stesse qualità, bisogna farsene una ragione.
La protesta per la disoccupazione giovanile si fa forte, almeno in Italia, dell’art.4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. La prima parte è retorica allo stato puro, prova ne sia che la seconda parte parla di renderlo effettivo: segno che prima non lo era. Quel diritto sarebbe tale se si potesse andare dal giudice per farsi assumere con la forza come operaio o impiegato. E questo è assurdo. Lo stesso verbo “promuove…” è una dichiarazione di buona volontà priva di effetti concreti.
Il lavoro è da sempre uno scambio tra prestazione e denaro. Intanto possiamo essere pagati in quanto qualcuno abbia bisogno di noi. Che i giovani divengano bravi dentisti e troveranno chi li paga per avere la loro opera. Se invece non sanno che incendiare automobili e sfasciare vetrine, scopriranno presto che il mercato in questo campo offre ben poco.
La verità indigesta è che la gioventù non è l’età felice delle canzonette, è quella in cui si studia, si cerca d’imparare un mestiere e nel frattempo si è spesso poveri. Gli indignados vanno guardati con compatimento perché credono, come i bambini, che tutto si ottenga chiedendolo ai grandi.
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