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Gli italiani e i “relitti fascisti”

Creato il 03 febbraio 2011 da Gadilu

Gli italiani e i “relitti fascisti”

Nel nuovo numero del settimanale ff (No. 05) è apparso un mio Gastkommentar sulla questione dei monumenti.

Perché la maggioranza degli italiani di Bolzano ha reagito in modo così negativo alla notizia che la Svp era riuscita a ottenere la promessa di poter intervenire sui principali monumenti risalenti all’epoca fascista? Gli altoatesini sono forse in gran parte ancora fascisti o comunque nazionalisti? Chi pone un quesito del genere ritiene che non si possa difendere quei monumenti senza aderire anche all’ideologia che li ha prodotti. Sarebbe però una conclusione troppo sbrigativa. Anche chi ha firmato una petizione nella quale si possono leggere parole sconfortanti sulla perdita di un patrimonio definito “ideale” (sic!), se direttamente interrogato rifiuterebbe di essere qualificato come fascista. Dunque a mio avviso la motivazione è da ricercare altrove.

Ci avviciniamo forse maggiormente alla comprensione di quanto è accaduto passando a considerarne gli aspetti culturali. Gli altoatesini legano dunque davvero la loro identità a quelle opere, magari perché non ne hanno altre o di migliori? Anche se le avessero, è certo che quelle di cui stiamo parlando sono molto più “disponibili” (pur risultando alla fine scomodissime) perché enfatiche ed enfatizzate. Enfatizzate non solo da loro, peraltro. Occorre così allargare la nostra considerazione al contesto nel quale si sono storicamente formate (e purtroppo anche cristallizzate) certe posizioni. Attenzione: con ciò non si vuole affatto giustificare l’atteggiamento prevalente degli italiani nei confronti del “proprio” passato (atteggiamento troppo spesso indulgente o comunque mai di aperta condanna) e scaricare il barile su quei tedeschi che dalla persistenza dei “relitti fascisti” hanno in larga parte tratto il loro capitale politico. È noto però come ogni meccanismo d’identificazione che sfrutti determinati oggetti culturali venga rafforzato se qualcun altro utilizza parimenti i medesimi per costruire un’identità di segno opposto. Allora prevalgono emozioni primitive, nessuno è più in grado di accogliere le ragioni altrui e il dialogo si avvita in un confronto tra sordi (come dimostrò il pessimo esito del referendum sul cambio del nome di piazza Vittoria).

Se le considerazioni appena svolte sono plausibili, diventa certo più chiara la reazione che si è avuta di fronte all’accordo tra la Svp e il ministro dei Beni Culturali, configuratosi come un vero strappo nella tela di così contorti e precari equilibri. Seppur con accenti diversi, l’aspro e trasversale rifiuto iniziale (Giorgio Holzmann che si è definito “scioccato”, Antonio Frena che ha parlato di “orrore”) è stato determinato da un sentimento diffuso in larghi strati della popolazione di lingua italiana dell’Alto Adige: ecco che qui tutto passa sempre e comunque sulla nostra testa; ecco che chi sta a Roma non comprende la nostra situazione e ci “svende” senza neppure consultarci; ecco che la Svp, con la solita protervia, ignora il parere dei suoi alleati locali e agisce come se noi manco esistessimo. Per gli esponenti del Pdl locale, che si sono addirittura trovati a votare la fiducia nei confronti di un “loro” ministro proprio mentre li stava in un certo senso “tradendo”, la delusione è stata cocente. Ma non pochi lamenti si sono levati anche da parte dei politici, degli osservatori e dei cittadini vicini al centrosinistra, i quali puntavano all’elaborazione di strategie più “condivise” e prudenti (talmente prudenti, a dir la verità, da risultare poco convinte e con ciò poco convincenti). Solo in un secondo momento è affiorata l’idea che la responsabilità stavolta andasse ricercata (anche) nelle proprie manchevolezze e nell’incapacità di essere stati realmente propositivi quando si poteva ancora tentare d’influenzare il corso degli eventi.

Cosa può accadere adesso? Il buon senso consiglierebbe di smettere in fretta di permanere in un atteggiamento d’indignato risentimento, al fine di promuovere invece un’attenta riflessione sulle possibilità ancora disponibili di partecipare concretamente alla nuova fase che, nonostante il discutibile metodo, si è aperta. Non appaia esagerato affermarlo: per gli italiani di qui si tratterebbe quasi della prima volta.



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