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Gli spari di Palazzo Chigi. Colpevoli e vittime reali.

Creato il 29 aprile 2013 da Laperonza

 

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Considero la violenza l’abominio dell’umanità, sotto qualsiasi forma essa si presenti, sia fisica che verbale. La violenza fisica procura danno a chi la riceve così come quella verbale che però, oltre al danno morale, può causare un successivo danno materiale. Per questo valuto un certo linguaggio, purtroppo ora molto in uso in politica, assolutamente da cassare. Ciò detto al fine di scansare equivoci ed eventuali future strumentalizzazioni che, comunque, ci saranno a prescindere dalla precisazione stessa, passiamo alla mia personale analisi di quanto accaduto ieri a Roma.

Un uomo, da quel che apprendiamo un uomo comune, con una vita comune e problemi comuni a tanti altri uomini e donne, d’un tratto, perché nella prospettiva temporale della vita di una persona quel che sta accadendo dà la netta sensazione della estemporaneità, si ritrova l’esistenza stravolta da fattori indipendenti dalla sua volontà: perde il lavoro, non ha più un reddito e una tranquillità economica, il che investe la sfera affettiva e causa la fine di un rapporto familiare (anche se è lecito immaginare che vi fossero difficoltà pregresse). Questi fattori determinanti il sostanziale crollo dei punti di riferimento comunemente intesi e la disperazione conseguenziale del nostro sono ascrivibili alla crisi economica e sociale che ha investito la civiltà occidentale e imputarne la colpa alla politica e a chi la pratica è spontaneo e niente affatto sbagliato, anche se esistono certamente altri elementi responsabili.

Molti, nelle condizioni dell’uomo che stiamo esaminando, hanno già reagito in maniera estrema togliendosi la vita. Contiamo quotidianamente diversi suicidi imputabili alla situazione economica. Il nostro uomo, invece, decide di non usare la violenza verso se stesso ma verso coloro che egli ritiene responsabili del suo tracollo. Prende una pistola e, probabilmente in un momento lucido di follia o di follia nella lucidità, spara a due rappresentanti delle Forze dell’Ordine, probabilmente frustrato ancora una volta dal non poter colpire i suoi reali obiettivi.

Condanniamo il gesto, senz’altro. Condanniamo, come dall’incipit, la violenza. Ma personalmente non mi sento di condannare quella mano armata dalla disperazione. L’uomo è vittima, oltre che carnefice, di uno stallo che va avanti da troppo tempo. Egli è vittima dello scollamento profondo tra società reale e chi la dovrebbe governare ma non ne ha più il contatto. Quest’uomo è vittima anche degli sproloqui politici e della violenza verbale che caratterizzano il dibattito pubblico recente. Ma egli rappresenta soprattutto quella società civile ferita e agonizzante che invoca aiuto e non ne riceve, nemmeno potenzialmente.

Così a subire l’attacco armato sono i due Carabinieri innocenti e colpiti nell’adempimento del loro dovere, è anche l’ignara passante rimasta coinvolta, ma subisce anche l’autore stesso, che vede ormai la sua vita oltraggiata per sempre dal suo stesso gesto oltre che da tutto ciò che ha subito in precedenza. E i colpevoli non sono soltanto i ministri che in quello stesso momento giuravano fedeltà alla Costituzione già fin troppo vilipesa, non sono soltanto i politici in generale che continuano imperterriti nel barocchismo arrogante delle strategie, noncuranti di quello che realmente accade all’interno delle case degli Italiani, della loro frustrazione, prostrazione, disperazione. Colpevoli, in un certo modo, lo siamo tutti, chi ha votato, chi non ha votato, chi ha per anni lasciato che le cose degenerassero senza accorgersene o, addirittura, approfittandone, magari per raccomandare il figlio o per ricevere chissà quale beneficio o forse solo perché tutto è sempre stato, e forse lo è tutt’ora, considerato normale.

Ma l’unico colpevole per la giustizia resterà quell’uomo che ha premuto il grilletto. È giusto che sia così, in fin dei conti. È giusto perché ciò che è accaduto davanti a Palazzo Chigi serva da monito futuro e non sia vano. Il monito vada ad altri disperati che potrebbero emulare il gesto, ma vada anche e soprattutto a chi ha il potere e il dovere di cambiare ed invertire questo processo degenerativo, perché si sforzi di riprendere contatto con la gente e con il Popolo, perché torni ad occuparsi dei problemi reali, perché tralasci finalmente il perseguimento dell’interesse particolare e faccia ammenda impegnandosi nel perseguimento di quello generale del Popolo Italiano.

Luca Craia

opolo Italiano. Luca Craia


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