Difficile descrivermi, mi riesce meglio descrivere, quindi scrivere. Ventisette anni, incurabile studentessa alla facoltà di Scienze Politiche e con un pessimo rapporto con l’economia politica, difficilmente digerisco le ingiustizie. Il luogo in cui mi sento più a mio agio? Il Cinema, per ora.
I “lucchetti d’amore” sul Ponte Milvio a Roma (panoramio.com)
Tra le cose che più suscitano inguaribili spasmi al mio sistema nervoso, quasi a pari merito con l’intolleranza più becera legata a qualsiasi sfumatura del genere umano, ci sono i luoghi comuni. E Federico Moccia, recentemente al cinema con “Universitari: molto più che amici”, di luoghi comuni si è sempre cibato e continua a cibarsi. Raggiunta la fase della, così definita socialmente, età adulta, la sola idea che Moccia percepisca inappropriatamente del reddito, sfornando film che non fanno altro che lobotomizzare gli adolescenti del bel Paese, mi causa una difficile digestione. Oltrepassata la fase del racconto delle pseudo relazioni amorose tra adolescenti, educati peraltro all’incivile atto vandalico del lucchetto a Ponte Milvio, come direbbe la mia amica Serena, Moccia sceglie di affrontare cinematograficamente il mondo degli universitari. Mondo ideale per raccogliere e girare un paio d’ore di luoghi comuni.
Tanto per cominciare, chi ha detto che chi trova una casa trova una famiglia?! Il caro Federico probabilmente dimentica che l’esperienza di un fuori-sede in condivisione, può trasformarsi in una vera e propria trasferta allo zoo, tanto da far rimpiangere i manicaretti di mamma e gli infissi solidi delle finestre di casa propria.
Per non parlare del fatto che, in tutta onestà, che si abbiano venti o trent’anni, difficilmente l’amore rappresentato da Moccia ti cade addosso come un fulmine a ciel sereno, soprattutto all’altezza di viale Zara. Per di più condito da una cotanta dose di zucchero filato da far scappare anche chi di diabete non ha mai nemmeno sentito parlare.
Il luogo comune, su cui Moccia ha fondato e fonda la sua carriera di scrittore e poi regista, è quello del giovane e struggente innamorato dalla vita più o meno credibile. Vedi per esempio la storia della quindicenne che ha una relazione con il quarantenne più figo d’Italia in “Scusa ma ti voglio sposare”. Quello su cui si basa nell’ultimo “capolavoro” è invece l’insicuro universitario fuori sede che oltre ad innamorarsi si culla contento ed emozionato per aver trovato una seconda famiglia, dimenticandosi di quanto era bella la possibilità di utilizzare il bagno alle otto del mattino senza fare la coda. Moccia racconta di un mondo, quello dei giovani adulti, facendo leva sempre e comunque sull’adolescente spettatore inconsapevole. Ma gli universitari quelli veri, li ha mai interpellati, conosciuti, osservati? Quelli costretti ad affittare case con fornelli da campeggio, quelli che preferiscono coltivare passioni piuttosto che biglietti omaggio per l’”Old Fashion” e che cercano quotidianamente un posto all’interno di una società non meritocratica? Li ha mai incontrati?
Per non parlare di quelli, spesso a loro malgrado fuoricorso, che arrancano per superare quotidianamente il luogo comune del “bamboccione nullafacente”, o quelli “troppo in corso” che arrancano comunque nell’attesa che qualcuno si accorga che potrebbero meritocraticamente prendere il suo posto ed invece, bene che gli vada, si vedono retribuire con un buono pasto.
“Blogger, we want you”, l’iniziativa di Grazia.it
Ringrazio Valentina Barzaghi che con il suo pezzo su Federico Moccia mi ha ricordato quanto i luoghi comuni debbano essere combattuti e quanto sia stupido chiedere scusa ogni qualvolta si desideri relazionarsi al prossimo, oltre ad otto validissimi motivi per esserci stufati di un certo tipo di cinema da “inebetimento sociale”.
http://www.grazia.it/Stile-di-vita/cinema-e-tv/nuovo-film-moccia-universitari-cinema