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Da Miwako
Il padre del mio ex diceva sempre "meglio un figlio morto che finocchio". Lo diceva ridendo, un po'per farmi arrabbiare, un po' perchè in fondo ci credeva. Non al fatto che fosse realmente meglio un morto che un omosessuale, ma che l'omosessualità di un figlio rappresentasse una tragedia, quasi una malattia incurabile, una cosa per cui vergognarsi, di cui disperarsi, una cosa che non si augura nemmeno ai peggiori nemici, era questo che credeva. Dal basso dei miei 18 anni, dal picco più alto che il mio idealismo avesse mai conosciuto, ero certa che persone del genere fossero una specie quasi estinta, sopravvissuta solo negli anfratti più angusti di qualche provincia meccanica. Non solo il disgusto, quanto il dolore, quasi fisico, che provavo nel sentire tanta ingiustizia, piccolezza mentale, ottusità di vedute e cattiveria ignorante, veniva ampiamente ripagato da questa  convinzione, ovvero che le persone così piccole di mente fossero una piccolissima minoranza, riducibile a suon di "lezioni educative" all'apertura mentale.Così, nel corso delle numerose cene intercorse nei 5 anni passati con J., ho parlato fino a rodermi le corde vocali, ho urlato, litigato quasi, infiammandomi ad ogni provocazione del padre di J., battendomi per qualcosa che credevo ( e credo) non riguardi "gli omosessuali" come categoria, ma l'umanità intera, ovvero la libertà di ogni individuo. Sembrerò retorica, utopista e forse banale, ma questo era davvero ciò in cui credevo, è davvero ciò in cui credo tuttora. Ad essere cambiato, crescendo, parlando con le persone, trasferendomi in città più grandi, è solo la mia visione di come alcune persone, troppe a dirla tutta, vedono l'omosessualità. A forza di schiaffi in pieno viso, ho dovuto ricredermi; non penso più che gli ottusi siano una piccolissima minoranza, e nemmeno che siano redimibili. La realtà, ancora una volta, era ben lontana da come la vedevo a 18 anni.
Il pregiudizio è così subdolo e sagace che si tramanda di generazione in generazione, quasi per osmosi. A volte urlato ai quattro venti, come nel caso di J. e suo padre da cui ha ereditato l'abilità manuale, qualche soldo e una nutrita schiera di preconcetti balordi, stupidi e retrogradi; altre volte silenzioso, inconsapevole, come certi batteri che rimangono latenti anche per anni, prima di evolversi in un cancro senza speranza.A farla da padrone, in tutto ciò, una dose considerevole di ignoranza cieca e irrecuperabile, ignoranza contro cui la cultura spesso non può niente, ignoranza che porta ancora, oggi, nel 2011, a parlare di TOLLERANZA nei confronti dell'omosessualità. Come se l'omosessalità fosse un ospite inatteso e indesiderato, come se meschinamente qualcuno dicesse di tollerare, previa distanza, l'esistenza dei lebbrosi. Tolleranza non è una bella parola, non in questa accezione almeno; tolleranza è una gentile concessione, non una presa di coscienza dell'inutilità della discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale. Quindi, parlando a livello generico, di società, le scelte possibili sono due al momento: OMERTA' o TOLLERANZA. Ma che bel mondo civile. E, in tutto ciò, si trova pure il coraggio di ritenersi un paese sviluppato. Quello che accade, quello che la società pensa, quello che è consentito o meno, si riflette ed è condizionato dalla televisione, in un biunivoco scambio di informazioni distorte che in realtà vanno in una sola direzione. I gay, a parte rare eccezioni, esistono solo come figura retorica del parrucchiere-checca-acida, tanto per dirne una; le lesbiche, invece, non sono neppure degne di menzione, nemmeno in veste di stereotipo riduttivo, ghettizzante e veicolo di false credenze sull'omosessualità.
Ieri in tv ho visto un episodio di OC, telefilm di e per adolescenti, incentrato sulle vite di un gruppetto di ricchi figli di papà dotati di cuore, cervello e un fondo fiduciario. Era la puntata in cui Marissa e Alex si scambiano finalmente il primo bacio. Censurato, ovviamente, in un momento in cui si poteva dedurre le due fossero in procinto di baciarsi, ma poteva anche essere che, no, "hai una ciglia sulla guancia, aspetta che te la levo". E allora mi chiedo, qual è il messaggio che passa dalla censura? Tra donne non si fa? Tra donne si fa ma bisogna nascondersi? La censura ha comunque salvato la trama dall'essere stravolta, le due stanno insieme e nessuno, fortunatamente, ha provato ad imbastirci intorno una poco credibile storia di "amicizia particolare" che potesse giustificare certi atteggiamenti affettuosi. Ma questo non fa onore a nessuno, non riesco a dire "oh che bravi quelli di italia uno", non se poi censurano un bacio tra le due. Mentre scrivo tutto questo, la varie meteorine sono LIBERE, quando non incoraggiate, di sculettare a pieno schermo a tutte le ore; Borghezio è LIBERO  di dire che, in fondo, gli ideali che hanno spinto Brievik ad ammazzare un centinaio di persone a sangue freddo, erano condivisibili; il papa è LIBERO di scoraggiare l'uso del preservativo e di affermare che l'educazione sessuale in molti casi può deviare le pecorelle dalla retta via (quella della chiesa, della castità, dell'ipocrisia senza fine, dell'ignoranza sovrana, quella che vorrebbe castrare la presa di coscienza riguardo certi argomenti perchè la crescita culturale è controproducente quando c'è il rischio che il gregge si ribelli al pastore), e il nostro emerito pezzo di premier è LIBERO  di dire cose come "Meglio appassionato di belle ragazze che gay", in risposta al caso Ruby.E' curioso indagare quali vie prendano la permissività e il proibizionismo in un Paese, antropologicamente curioso. La dice lunga sulle persone di cui è fatto questo Paese, sul livello di Intelligenza e Cultura, su ciò che si vuole favorire e ciò che si vuole frenare, su quanto valga ciò che viene insegnato, su quanto si discostino i valori dichiarati da quelli su cui tale società si basa realmente.
Stè, parlando di omosessualità, una volta mi disse " Dire Mio è figlio omosessuale, dovrebbe essere come dire Mio figlio ha i capelli neri, niente di più e niente di meno del prendere atto di una caratteristica di una persona". Io credo sia una cosa bellissima, quella che ha detto.Se non avessi l'indipendenza di pensiero che da sempre perseguo, probabilmente non sarei qui a fare questi discorsi, ma visto che ce l'ho, visto che qualcuno si è preso la briga di insegnarmi in tenera età a non lasciarmi influenzare, ne approfitto per ringraziare i miei genitori. Non sono certo le persone più open-minded che conosco, e questi discorsi non li ho mai sentiti uscire dalle loro bocche, ma se c'è una cosa in cui hanno fatto centro, in cui hanno fatto cento, è stata la volonta di non trasmettermi i loro pregiudizi, le loro paure, laddove ci fossero state. Se domani tornassi a casa e dicessi " Mi sono fidanzata, lei è Giulia", rimarrebbero basiti, interdetti e probabilmente ci metterebbero un bel po' a digerire la cosa; ma io so che il terreno, con loro sarebbe fertile, so che non metterebbero i loro pregiudizi davanti alla mia felicità, so che sono consapevoli dei limiti mentali in cui la loro generazione è cresciuta, e che alla fine, nessuno di loro penserebbe nemmeno per un secondo, meglio un figlio morto/ladro/drogato/qualsiasi-altra-cosa-purchè-negativa che omosessuale. Sarebbero imbarazzati, sorpresi, ma mai delusi o dispiaciuti. E questo, mi sembra un motivo più che sufficiente per ringraziarli, i miei vecchi.A tutti quelli che proprio non ce la fanno a non considerarla una disgrazia, auguro di essere circondati da persone coi capelli neri, di avere un figlio coi capelli neri, di svegliarsi a 35 anni e scoprire che il proprio fratello bello e misteriosamente scapolo, ha in realtà i capelli neri. Così, magari, quando loro diventeranno gli altri, quando i figli degli altri diventeranno i loro, capiranno che siamo tutti persone, esseri umani, indiscriminatamente uguali, innegabilmente diversi, e che non c'è niente di così diverso ad amare qualcuno che è uguale a sè.

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