Non so se Incerti sia un esordiente o abbia già un certo numero di film al suo attivo (fedele alla linea, scrivo a caldo per non farmi influenzare dalle recensioni della critica e dalle schede dei siti cinematografici, che andrò a vedere solo a posteriori).
A Francesca, che era con me, non è piaciuto per niente.
A me già di più, ma è la prima volta che esco delusa da una sala dove proiettavano qualcosa con Toni Servillo, e la cosa mi inquieta.
Se poi aggiungiamo che andare al cinema costa e che è la seconda delusione in tre settimane, dopo Mazzacurati, ci resto un po' male, e anche inquieta.
Non è che Servillo, il miglior attore italiano e forse europeo degli ultimi anni, si sia svenduto a un cinema commerciale e senza idee.
Le idee ci sono eccome, solo che sono esposte superficialmente, allo stato grezzo, senza approfondire né l'intreccio né i personaggi. Un'obiezione (che in effetti mi è venuta in mente, camminando verso casa) potrebbe essere che molte cose che per un napoletano sono ovvie non lo sono per un mantovano di tutt'altra cultura, linguaggio e ambiente.
Però il cinema qualcosa dovrebbe comunicare, sostiene F., e se tu regista decidi di mettere nel tuo film gioco d'azzardo, personaggi corrotti sul filo dell'illegalità (il capo delle guardie penitenziarie, l'avvocato pokerista dotato di sgherri, lo stesso Gorbaciof che si ruba i soldi della cassa della prigione per giocare...) qualche minima spiegazione la devi pur dare, anche senza bisogno di scadere nel didascalico, di telefonare ogni informazione.
Dialoghi asfittici, primo quarto d'ora muto: è pur vero che Servillo parla col suo corpo, che lo introiettiamo mediante la camminata sicura, l'orrida polo bordeaux mai cambiata per tutto il film, la gestualità da guappo; però quando perfino al tavolo del poker risponde a gesti, ti viene spontaneo chiederti: ma per caso il protagonista è un sordomuto?
Infine la storia si avvia, i dialoghi cominciano, ma restano scarsi e pochissimo esplicativi, anche perché Incerti sceglie come protagonista femminile una giovanissima cinese che lavora nel ristorante il retro del quale serve da bisca clandestina.
E che c'è di strano, penserà chi non ha visto il film?
Il problema è che la ragazza non parla italiano. Non solo, ma non parla nemmeno cinese, la vediamo al lavoro e in casa, lui la segue al mercato, fatto sta che a parte ridere, sorridere o piangere, l'unica cosa che dice in tutto il film sono un paio di battute in cinese che noi capiamo grazie ai sottotitoli e il destinatario no, perché, appunto, non sa il cinese.
Come se i cinesi non parlassero mai neanche tra loro e non fossero in grado di imparare l'italiano. No, capisco che il napoletano è difficilotto, farei fatica anch'io, ma allora com'è che il padre gestisce un ristorante e gioca a poker con gli indigeni? E' lei che non ha l'area cerebrale deputata all'apprendimento linguistico o è il regista che ha avuto questa bella pensata per squisite ragioni simboliste che noi non possiamo capire?
Cinema dell'incomunicabilità, insomma.
Ma non solo: lui e lei, poverini, non si capiscono, lui la protegge da ragazzotti che la insidiano e poi pure dal padre che vorrebbe venderla ai creditori di gioco (ma perché vuole venderla? lo dice lui, Gorbaciov. Ah be', allora, dev'essere vero, anche se non vediamo mai il padre dire o fare qualcosa che potrebbe suffragare l'ipotesi).
Non solo la protegge ma la porta a spasso, al centro commerciale, allo zoo di notte, le compra gli occhiali da sole, poi il canarino, la fa ridere facendo le smorfie da clown come Takeshi Kitano in Hana-Bi, ma non la tocca mai nemmeno con un dito e quando lei cerca di baciarlo, si tira indietro.
Un cavaliere senza macchia e senza paura.
Non solo ma lo vediamo al cimitero pregare e mettere, sulla tomba di un bambino, fiori rubati a un'altra tomba vicina. Perché? Che storia familiare ha questo personaggio? Boh. Non lo sapremo mai.
Non solo ma per ripagare i debiti di gioco del padre di lei ruba ancora più soldi alla cassa della prigione dove lavora come contabile e siccome là dentro lo sanno tutti, a un certo punto un questurino più vecchio e potente degli altri lo aiuta ma ricattandolo e costringendolo a riscuotere soldi a suo nome da creditori che non si capisce bene che debiti abbiano con il suddetto questurino.
Non solo ma - come già visto in decine di film soprattutto italiani degli ultimi anni - Gorbaciof compra i biglietti aerei e li consegna alla fanciulla spiegandole che si rifaranno una vita all'estero e vivranno felici e contenti, e lei a questo punto, pur continuando a non sapere l'italiano né tantomeno il napoletano, capisce tutto e tutta contenta fa le valigie, ma naturalmente lui all'aeroporto non ci arriverà mai, perché il vile destino si metterà di traverso, e noi, avendo visto la suddetta decina di film con lo stesso tòpos, sappiamo già a colpo sicuro fin da quando le mette in mano i biglietti che qualcosa andrà storto.
Sui desolanti deficit di sceneggiatura del cinema italiano avevo già scritto a proposito di un veterano come Mazzacurati e sarebbe ingeneroso ripeterli qui.
Certo se in Gorbaciof c'è una storia, deve quasi tutto ai meccanismi inesorabili del gioco e del padrone che si impossessa delle anime già perfettamente descritti dal Giocatore di Dostoevskij.
Se ci sono dei momenti poetici, o pseudo-poetici, o se c'è una poetica dell'alternanza tra violenza (necessaria, quella dell'Eroe che tutto giustifica eticamente) e lirismo (quello dell'Eroe con la Fanciulla allo zoo, al centro commerciale etc.) deve quasi tutto ai film di Kitano già citati, smorfie, mafie e lunghissimi silenzi compresi.
Sì, c'è Napoli.
Sì, c'è Servillo grandioso come sempre.
E poi?
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