Il giudizio di Antonio Valerio Spera
Summary:
Preceduto dalle polemiche provenienti dalla famiglia Grimaldi di Montecarlo, Grace of Monaco apre il festival di Cannes senza convincere neanche la stampa presente sulla Croisette. Il film diretto da Olivier Dahan e interpretato da Nicole Kidman e Tim Roth, rispettivamente nei panni di Grace Kelly e del principe Ranieri III, è godibile, esteticamente accattivante e dotato di buon ritmo. Purtroppo però rimane in superficie e non riesce ad entrare fino in fondo nelle psicologie dei personaggi e nella loro storia d’amore, trovando anche difficoltà nel descrivere quest’ultima imprescindibilmente connessa alle dinamiche politiche del principato di Monaco e al mondo del cinema.
L’evidente obiettivo non raggiunto dal film era quello di costruire un racconto stratificato e complesso che arrivasse a dipingere il ritratto umano di una donna costretta a scegliere tra il suo passato di attrice e il suo presente di principessa, moglie e madre. Un dissidio che necessitava, dati i personaggi e il preciso momento storico trattato, di un impianto visivo e narrativo in grado di essere tanto cronachistico quanto intimo e riflessivo, capace di travalicare l’immagine della diva Grace Kelly (e l’immaginario a cui essa è legata) per introdursi nel suo privato, nelle sue emozioni, nella sua natura umana. Dahan ci prova ma perde la sfida.
Il regista francese ci regala delle belle sequenze, riprende la Costa Azzurra con classe e va alla ricerca di uno stile che punti quasi ad un’operazione metacinematografica, rievocando per molti aspetti la Hollywood classica. Il risultato però è una pellicola eccessivamente patinata, che si perde nella ricerca formale evitando di renderla veicolo per una profonda introspezione. Così Grace of Monaco sembra indirizzarsi soltanto verso una dimensione commerciale sfruttando la notorietà della storia che porta sullo schermo e il divismo dei suoi protagonisti, non cogliendo la grande occasione di un biopic complesso e sfaccettato.
Le colpe però non sono da attribuire solo a Dahan, anzi. Si avverte principalmente la mancanza di una sceneggiatura solida, potente, ricercata che sappia sfuggire i cliché e gli stereotipi. I dialoghi risuonano futili, telefonati e a volte tendenti involontariamente nel ridicolo; molti (importanti) personaggi collaterali si perdono per strada e le volte che appaiono sullo schermo sfiorano il macchiettistico; e la dimensione politica, che occupa un ruolo fondamentale all’interno delle vicende raccontate, assume connotati a tratti fumettistici. Un vero peccato vedere un progetto sulla carta vincente finire in una confezione da fiction televisiva scorrevole e visivamente impeccabile ma senza sostanza. A salvarsi è solamente Nicole Kidman: l’eleganza e la bravura che da sempre la contraddistinguono sono ancora intatte.
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net