Nostra la grafia dei bambini.
Con la matita al posto della penna.
Ricordo di me in ginocchio a sfogliare fotografie sul tuo letto.
Ti rivedo nella memoria, in piedi al mio fianco, ad osservarmi mentre scruto la tua vita.
E vorrei stringermi a te posando le miei guance sulle tue ginocchia tese, così forte d’aspirare l’odore della tua pelle attraverso i jeans.
L’odore del tabacco sulle tue mani.
Vorrei fermare il ricordo in questo punto e non andarmene mai via.
E allora chiudo gli occhi e disegno un albero grande.
Gli trasformo il pavimento in suolo di terra.
In briciole di sabbia arsa dal sole.
Le radici scaltre corrono profonde e agili avvolte dal bacio fresco del terreno dimora di animaletti vivaci.
I suoi rami, immersi in delicate foglie che danzano al ritmo di vento, sono tanto infiniti d’arrivare a trafiggere le nuvole e farne cespugli di zucchero filato.
E avrai braccia di corteccia potenti a cullare canti allegri di uccellini all’ombra del tuo animo.
Ed io voglio stare qui.
Al riparo ai piedi di te essenziale albero.
Protetta da tutto lo scompiglio.
Quasi potrei assopirmi calma, e sognando invocherei la Dea degli esseri Straordinari per sussurrarle della tua armatura da guerriero, di quanto essa sia fragile ma potente al contempo, e lei incantata mi darebbe la magia di donarti forma nuova del tempo, spazio di ciò che realmente sei, bosco incantato, bambino buono, con lo sguardo colmo di chi ha soltanto se stesso al mondo, ma col sorriso di autentica felicità e sorpresa nel trovare me che t’aspettavo.
L.L.