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Grandissimo pulp

Creato il 30 giugno 2011 da Dallenebbiemantovane

Cornell Woolrich (1903-1968)      Grandissimo pulp
Sei racconti lunghi, uno più bello dell’altro, già pubblicati su riviste pulp americane come la mitica Black Mask tra il 1938 e il 1942, finora inediti in Italia.
Ragazzi, che rivelazione Woolrich. Uno di quei momenti in cui ne chiudi uno e capisci che dovrai procurarti tutti gli altri, per il semplice fatto che, in mezzo a tanto sterco, qui ne vale la pena.

Non sono mai stata una lettrice di racconti, niente affatto, ma questi sono semplicemente perfetti. Perfetto lo stile, conciso e diretto e spietato; perfetto il ritmo e la diluizione degli eventi; perfetti quindi le accelerazioni e i rallentamenti che ti portano proprio dove vuole l’autore, procurandoti interrogativi e inquietudini insostenibili. Dov’è il bene? Di sicuro non in una centrale di polizia. Dov’è il male? Tendenzialmente dappertutto ce ne sia l’occasione.
Qui dentro c’è già tutto Ellroy e tutto un filone di cinema noir americano da Vivere e morire a Los Angeles a Eastwood a tanto altro.

Due o tre osservazioni più a fuoco.


La figlia di Endicott
Un racconto in prima persona, un uomo onesto, un poliziotto in gamba, che dapprima non crede ai suoi occhi, ma che quando scopre la verità è pronto a diventare qualsiasi cosa, anche un assassino, pur di coprire la figlia.
Pare fosse il racconto preferito di Woolrich stesso.

Detective William Brown
Il mediocre e il brillante; lo sgobbone e quello che prende sempre le vie traverse.
Mai come in questo racconto capirete la differenza tra essere intelligenti ed essere furbi. Ma anche per i furbi può arrivare il momento, quel momento, la resa dei conti. Non che per lo sgobbone cambi qualcosa.


Pezzo forte per l’assassino. Giallo a tempo di swing.
Fred Armstrong, il clarinettista del complesso, giaceva inebetito sul letto, la bocca aperta puntata verso il soffitto, la bottiglia di gin che si era portato da sotto ancora stretta in mano, come se fosse troppo preziosa per lasciarla andare anche dopo che si era scolato l’intero contenuto.
Nella strana complicità che si crea tra il poliziotto, cui il naturale indagato sembra troppo colpevole per esserlo davvero, e la cantante della band dove ogni tanto qualche membro finisce male, risiede buona parte del fascino di questa storia. L’altra metà è data dalla musica stessa, dal ritmo diabolico dello swing e da quello del Bolero che, ossessivamente suonato al pianoforte, farà da deus ex machina. Da notare che, qui ancor più che altrove, Woolrich non si esime dal mostrare il sottobosco musicale di provincia in tutte le sue luci ed ombre, droghe e alcol inclusi.


L’occhio del morto
Fantastico. Mai letto niente di così semplice e perfetto allo stesso tempo. Woolrich assume il punto di vista di un bambino, sveglio sì, ma bambino, che ha intuito un certo rallentamento nella carriera del padre, una potenziale caduta in disgrazia, e decide di aiutarlo. Come? Ma perbacco, trovando un assassino. Perché il padre fa il poliziotto...
Detto e fatto, dai suoi giochi infantili (lo scambio di oggetti) si convince che un occhio di vetro possa essere collegato a un delitto e – mentre noi pensiamo: sèèèè, figurati, questo è un racconto di fantasie infantili – ricostruisce tutti i passaggi di quell’occhio fino a trovarsi nella più spaventosa delle situazioni.
Quando arriverete alla scena della busta infilata sotto la porta, tirata da entrambi i lati, proverete il più classico, il più hitchcokiano dei brividi di terrore.

Ribalta fatale
Anche qui, come in Pezzo forte per l’assassino, il mondo scalcinato e rutilante dello spettacolo, con la reazione dell'impresario teatrale di fronte alla morte improvvisa – e originalissima - della divetta di turno:
Poi si voltò. “E la ragazza come sta?”
“E’ morta” disse Benson con voce smorzata, da sotto un braccio, e l’orecchio appoggiato sul torace dorato della ragazza.
Il manager restò senza fiato, ma era una reazione di carattere puramente professionale. “Accidenti, e dove la trovo io una sostituta con così poco preavviso? Cosa diavolo le è successo? Stava benissimo alla matinée!”


Tre omicidi per uno
L’uomo se ne andò. Il tenente si girò verso Severn. “L’omicidio è stato commesso alle dieci. Che razza di alibi è questo?”
Severn disse, con quieta rassegnazione: “L’unico che avevo.”
Forse il migliore, con L’occhio del morto.
La giustizia non coincide con la legge. Ma se la giustizia è quella dell’implacabile Rogers, povera America. Tra i due mali, Woolrich non si schiera. Si limita a descrivere e a farci rabbrividire.


Cornell Woolrich
Giallo a tempo di swing
Feltrinelli – I Canguri
2004
233 pagine


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